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"Il rigore che non c'era": il penalty sbagliato da Federico Buffa

SCANDICCI – Non tutte le ciambelle riescono con il buco. Non è esente da questo proverbio Federico Buffa, volto di Sky con le sue narrazioni piene di enfasi, pathos ed empatia, che, da qualche tempo sbarcato a teatro, non è riuscito a bissare i successi delle “Olimpiadi del '36” né di “A night in Kinshasa”. La differenza salta agli occhi, cantava De Gregori. Se nei primi due spettacoli di story telling e affabulazione c'era un tema solido e portante lungo tutto l'arco della drammaturgia, i Giochi nazisti e Jesse Owens il primo, l'incontro del secolo tra Alì e Foreman il secondo, infarciti con interessanti divagazioni geografico, politico, culturali e di costume, che davano quel tocco di colore e spinta, brio e brividi alle sue parole calde, in questo nuovo “Il rigore che non c'era” l'intreccio è debole, il plot è fragile e la costruzione narrativa che lo supporta praticamente inesistente. Non è deficitaria, è proprio mancante. E si sente anche nel pubblico questo gap, questo quid che non è stato colmato e più buffa-66-1033717.jpgva avanti nelle sue iperbole più capiamo che la serata sarà una sequela di aneddotica da almanacco, una sequenza di curiosità da “Non tutti sanno che” della Settimana Enigmistica. Per carità, adesso sappiamo perché si gioca in undici a calcio o perché Manhattan si chiami proprio così, ma non basta, non può bastare. L'attinenza con il titolo poi decade dopo i primi dieci minuti quando, appunto, l'argomento che avrebbe dovuto essere trainante si esaurisce.

L'escamotage di fondo che lega le varie gag e numeri, trovata per niente originale e abusata, è quello che ci troviamo in una sorta di limbo post mortem con due personaggi millenari (un attore, Marco Caronna bravo nel tentare di legare un quadro all'altro, nella regia invece pecca, e un pianista, Alessandro Nidi, virtuoso d'atmosfere che ci ha ricordato Novecento) che se ne stanno lì aspettando il Godot-Buffa da tempo immemore e che finalmente è giunto. Tu chiamalo, se vuoi, Messia. Una parentesi dalla quale si può solo entrare ma non si può uscire. “Meno male che sei arrivato tu”, lo incensano, lo investono di responsabilità, lo innalzano, lo esaltano. Less is more. La platea si aspetta storie legate al calcio, a qualche rigore che ha fatto storia, invece ci spostiamo vorticosamente da Comunardo Niccolai, difensore re delle autoreti, ai Beatles a Sonny Liston, a El Loco Houseman, ala destra argentina affezionato più alla bottiglia che ai dribbling sulla fascia. Ma il frullatore continua concentrico, il mosaico si arricchisce di nuovi sapori, sempre più disparati il che fa diventare sempre più arduo trovare un filo conduttore. per-sito-11.jpgSemplicemente non esiste.

Appaiono Kareem Abdul Jabbar, che di rigori non ne ha mai battuti, Garrincha e Muhammad Alì, Billie Holiday e Sammy Davis Jr, poi ci spostiamo sul Perù prima con Francisco Pizarro fino a Sendero Luminoso e l'affresco di accozzaglia è servito. Ogni tanto, spettacolo-federico-buffa-in-a-night-in-kinshasa-teatro-europauditorium-bologna-marzo-2018-idealshow.jpglateralmente, il discorso sembra scivolare sulla politica ma il tutto rimane in superficie, toccando molti punti senza analizzarli e senza andare a fondo veramente a nessuno di questi. Tutto sembra telefonato come un tiro floscio dal limite dell'area, di quelli che Sandro Ciotti avrebbe chiamato “di alleggerimento”. Ma non è finita qua, perché nel calderone finiscono Kennedy, evergreen che ci sta sempre bene e stuzzica le fantasie, e Jeff Buckley, gli ufo sopra l'Artemio Franchi nel '54 in occasione di Fiorentina-Pistoiese e Cristiano Ronaldo che la madre voleva abortire. Il focus non è centrato, anzi deborda e si scioglie, cade e sfora da ogni parte come sabbia in una mano. La cantante poi (Jvonne Giò), che ogni tanto vorrebbe arrivare a commuovere, è uno stop all'emozione, e, purtroppo, manca d'estensione (nel suo monologo finale non eccelle alzando i decibel). Per una facile commozione, di quelle che si sa già da prima da che parte stare, chi sono i buoni e chi i cattivi, eccovi sul piatto Hitler e Churchill, l'allunaggio del '69 e Paolo VI. Il guru questa volta non è riuscito ad indicarci la via. Il rigore non c'era, ma neanche lo spettacolo teatrale.

Tommaso Chimenti 16/03/2019