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Il "Diluvio" al Festival ContaminAzioni

Al ritmo degli antichi cunti siciliani, la voce narrante (Francesca Melluso) di un’energica cantatrice di favole scandisce una parabola dall’essenza ferina e carnale.
"Diluvio" è simbolo della viziosità dell’essere umano fin dalla notte dei tempi; la sua comunità immaginaria una piccola porzione ancestrale di mondo lontano e indefinito che assurge a paradigma della nostra specie tutta.
La forza dello spettacolo scritto da Paolo Costantini e Marco Fasciana sta nell’impatto visivo e nell’energia vitale scaturita dagli interpreti che squarcia il palco con vigore rendendolo simile a un campo di battaglia rock: sono esseri cupi e dark che si muovono all’unisono. Danzano, si contorcono e interagiscono anche con un solo cenno dello sguardo. Tutto perfettamente sincronizzato. Tutto diabolicamente surreale e nero.
E la loro frenesia coordinata rende al meglio l’idea di branco accecato dalla voglia di sesso, di cibo e di denaro. Come un sol corpo, come un solo organismo, questi irresistibili peccator carnali (Matteo Berardinelli, Romina Colbasso, Paolo Costantini, Carolina Ellero, Marco Fasciana, Lorenzo Guadalupi, Tommaso Paolucci, Francesco Pietrella, Giulia Mento e Rebecca Sisti) si dimenano soggiogati della loro fame. Siamo noi, noi tutti, da sempre e per sempre schiavi della passione. I paradossi di certi surreali passaggi (divertentissima la trattativa al ribasso per scegliere quale donna comprarsi) sottolineano ancor meglio certe contraddizioni in cui siamo da sempre immersi.contamin2
Ma in fondo tutto “si dimentica e si sogna. A poco prezzo”, come ripetono a cantilena le donne mentre sollazzano un membro della loro comunità. Si beve e ci s’ingozza, si fuma e si gioca a carte, si vendono corpi per poi addormentarsi ubriachi e sazi in questo vortice dionisiaco.
Ma ad un certo punto, come in ogni aggregazione sociale (dalla preistoria all’antica Grecia, dalla Rivoluzione Francese alle Grandi Guerre Mondiali) qualcuno sopravanza gli altri e li porta a un passo dalla rovina, complice in questo caso l’incedere di una tempesta improvvisa. Qualcuno tenta di liberarsi dai lacci collettivi per ergersi a capo solitario, istigatore di piaceri sfrenati. Ma se non “paga il conto” delle sue gozzoviglie (sacrilegio dei sacrilegi nella micro-comunità di Diluvio) allora deve intervenire la Giustizia, in un Tribunale popolare particolarmente grottesco e riuscito. Perché il prezzo da pagare per il vizio sono le Leggi, ma chi giudica e deve applicarle ha appena svestito i suoi panni di lussurioso. Un’allegoria efficace e intelligente.
Dall’alto, a osservare i goffi fallimenti della specie umana, c’è un Dio svogliato, padre dell’uomo pentito e divertito dalle sue contraddizioni. E allora, dato lo spasso, tanto vale spostare all’ultimo la direzione del tifone e continuare a godersi lo spettacolo.

Simone Carella 03/10/2016

Foto: Riccardo Freda

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