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"Il Cortile": all'OFF/OFF Theatre di Roma torna lo spettacolo di Spiro Scimone, per la regia di Valerio Binasco

Tra una motocicletta in avaria, una scala arrugginita, spazzatura e tanta, tantissima polvere, si incrociano le sorti di tre uomini, anziani, vagabondi, senza più niente al mondo al di fuori della speranza e di un pallido, rituale, grottesco rimasuglio di vita. A interpretarli, Francesco Sframeli, Gianluca Cesale e Spiro Scimone, anche autore del testo, premio Ubu 2004 come miglior scritto italiano, diretti da Valerio Binasco. "Il Cortile" è tornato a Roma il 6 febbraio 2018 dopo dieci anni di assenza dalla capitale, dove rimarrà in scena fino a domenica 18, all'OFF/OFF Theatre di Via Giulia.
Nella già evocata scenografia, oggi facilmente accostabile al genere tanto in voga della distopia, si mostra un dramma senza tempo, dal ritmo lento ma costante e inarrestabile. I personaggi contribuiscono al ritmo di questo incedere, nucleo stesso dell'opera, dandogli però al contempo un'umanità vibrante e, per quanto sfibrata nella carne, ancora viva. Impossibile non ripensare alle attese godotiane e agli scambi surreali di Beckett, nell'assistere alla non-vicenda quotidiana di Peppe, Tano e Uno, e dell'autore irlandese è mantenuta intatta la capacità di alienare e al contempo divertire con la medesima parola, uno stessoil cortile 2 sguardo, un gesto timido eppure evidente nella staticità più totale di un mondo che sembra aver smesso di girare.
Lo spettacolo inizia e finisce in un buio vulcanico, da cui tutto può crearsi e in cui tutto può scomparire. Quando la luce dipinge un quadro tanto desolato e le parole ne descrivono un altro altrettanto desolante, lo spettatore può scoprirsi, se disposto a superare una barriera di straniamento, a desiderare il buio stesso. È questa la parabola tracciata da due segmenti di spettacolo, simmetrici nella durata tanto quanto nell'azione. Peppe, Tano e Uno sono reietti, abbandonati da tutti salvo che da se stessi, e ricordano con malinconia tranche di un mondo che non c'è più, o almeno non è più intorno a loro, mentre resistono al fascino di una disperazione abituale, ormai connaturata al vivere stesso. Il trascorrere del tempo, impalpabile, non fa che aumentare il nostro grado di empatia e di sensibilità con tale disperazione, che potrebbe, e questo è il dato più inquietante e potente, non essere poi così lontana dalla nostra stessa vita. Lo stesso "cortile" del titolo è un non-luogo rispetto alla scena, si trova altrove e benché sembri vicino e suoni invitante, la sua esistenza coincide con l'impotenza di raggiungerlo. Ecco che quindi l'opera si fa "utopia" nel senso negativo del termine greco.
Ciononostante, l'attualità della rappresentazione è viscerale e fisica, nei gesti e nei dialoghi, portati avanti con ritualità, delicatezza e accenti marcati. L'autore, attraverso battute ricorrenti impreziosite da variatio, segna con precisione millimetrica i passaggi più incisivi e, arrivati alla fine, "Il Cortile" si dimostra uno spettacolo introverso ma non timido né ermetico, che dona una più profonda consapevolezza di quanto il conforto di un contatto umano, pur minimo, possa riempire un sacco, e una vita, pieni di niente.

Andrea Giovalè 13/02/2018

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