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Il Ballo degli specchi: al Vascello i riflessi molteplici di Sonia Bergamasco

Una scenografia scarna, affollata soltanto da specchi di ogni forma e dimensione coperti da veli di cellophane. Una dormeuse, luci soffuse. È la “stanza dei fantasmi” in cui si consuma un conflitto familiare dalle tinte cupe. La storia è la stessa de “Il ballo”, romanzo breve che Irene Némirovsky scrisse nel 1928, riversandovi i traumi di un'adolescenza difficile: il rapporto conflittuale con la madre, i sogni appassionati di gioventù, l'attrazione verso la mondanità sfavillante della capitale francese, in netto contrasto col grigiore di Kiev, città dov'era nata e da cui era fuggita. Elementi che tornano nell'adattamento teatrale di Sonia Bergamasco, monologo a cinque voci in cui l'attrice cara a Massimo Castri interpreta tutti i personaggi del romanzo: Rosine, madre fiera del suo status di parvenue (“Dimentichi sempre che ora siamo ricchi, figlia mia...”) e affaccendata a organizzare un ballo per suggellare l'ingresso a pieno titolo nel jet set cittadino, la figlia Antoniette, adolescente sognatrice e tormentata, il padre Alfred Kampf, “piccolo ebreo scarno dagli occhi di fuoco”, la governante anglofona, Miss Betty, e l'acida cugina Isabelle.
Parigi non compare mai, nella mise-en-scéne della Bergamasco, che si sviluppa tutta in un interno onirico che ricorda una fotografia di Francesca Woodman. Non si vede ma se ne sente l'eco, il richiamo a un tempo attrattivo e pericoloso. Il ballo diviene emblema di due aspirazioni speculari: quella utopica di Antoniette a emanciparsi dall'oppressione familiare, quella piccolo-borghese di Rosine al riconoscimento sociale dopo un passato di povertà ed emarginazione.
La camera buia di specchi dismessi allestita da Barbara Petrecca è lo scenario perfetto di questo dramma dell'effimero. “Mi sento multiplo. Sono come come una stanza dagli innumerevoli specchi fantastici che distorcono in riflessi falsi un'unica realtà che non è in nessuno ed è in tutti”, scriveva Fernando Pessoa. La bravura della Bergamasco sta proprio nell'essere multipla, una e cinque, modulando in base al personaggio la gestualità e il tono della voce: burbera e supponente quando è Rosine, tremolante e goffa quando è Antoniette, stridula Miss Betty, austero ma sottomesso il signor Kampf, traboccante d'invidia la cugina Isabelle. L'attrice milanese alterna staticità e dinamismo, ora rigida sulla dormeuse, ora simulando un valzer con addosso un velo di cellophane che in altre scene è invece una fodera che le riveste il volto, claustrofobica come il lenzuolo bianco degli Amanti di Magritte. Il sottofondo musicale è estremamente ridotto: la melodia ansiogena di un carillon, il ticchettare di una sveglia, brevi accenni al valzer di Strauss.
Drammaturga, regista, attrice, Sonia Bergamasco rielabora con garbo il romanzo della Némirovsky, scrittrice a lungo dimenticata e riscoperta - con "Suite francese" - solo nei primi anni duemila, le restituisce nuova vita a distanza di quasi novant'anni, mettendo in luce la straordinaria modernità di un rapporto madre/figlia contraddittorio ma speculare.

Marta Gentilucci 27/01/2016

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