PESCARA – Ci sono momenti da festeggiare o per lo meno da sottolineare, da ricordare certamente. In questi giorni il Teatro Immediato di Pescara brinda un anno da quando ha aperto il suo spazio artistico nel quartiere periferico San Donato, intitolato all'amico scomparso Enzo Spirito. In questo anno se n'è andata un altro pezzo importante della compagnia diretta da Edoardo Oliva, la sorella Giulia, altra anima del gruppo. Nell'Immediato si fondono la vita e la morte, il passato e lo sguardo rivolto verso il futuro. Non ci si ferma, non si sta, non si aspetta ma si prospetta, si progetta, si getta il cuore oltre l'ostacolo. E l'anno prossimo saranno venti gli anni dalla fondazione del Teatro Immediato. Il piccolo e curato e accogliente nuovo spazio (si percepisce netta la stima e la vicinanza del pubblico) sorge all'interno di un palazzo che ha in sé, naturalmente, nella sua intima architettonica originaria, due “palchi naturali”, uno all'esterno con un cerchio contornato da ringhiere (un parco-giardino dove poter organizzare anche eventi itineranti) e un secondo, ancora più affascinante, nella corte rotonda interna sulla quale si affacciano le volte (ricorda l'impianto della struttura iconica della pellicola “Aria ferma” ma anche le scale dello stadio milanese di San Siro) che salgono fino al quarto piano come dei palchetti di un teatro all'italiana. Un luogo dove certamente si può tentare di solcare nuove strade artistiche e qui Oliva e lo scrittore Roberto Melchiorre sicuramente faranno germogliare nuovi frutti.
Pescara terra di mare. E il mare si sa è sempre uno sbocco, l'apertura di una parentesi, un'idea di movimento, una via da percorrere, una possibilità di respiro, di sogno, di vedersi in altri panni, in altre terre. Il mare è il tramite tra l'adesso e il sarò. E questo debutto “Il mio nome è Gordon Pym” (adattamento di Melchiorre, regia di Oliva), tratto dalle pagine cariche di buio e crude di Edgar Allan Poe ha in sé proprio il germe della sperimentazione in un felice miscuglio tra musiche d'ambientazione, performance fisica quasi coreografica e video. Quello che incuriosisce è che i due attori (lo stesso Oliva e Ezio Budini, somiglia fisicamente a Tommaso Ragno) in scena non parlano né dialogano ma agiscono e si muovono sulle parole di una voce fuori campo che narra la vicenda di questi due marinai che attraversano mille peripezie tra salvezza e dannazione, tra sogno e incubo. Siamo dentro un mondo mobile, senza punti di riferimento se non i marosi, con l'orizzonte che fluttua, che ondeggia in alto e in basso, che oscilla e scuote. E all'interno del teatro, piccolo e giustamente intimo (perfetto per uno spettacolo dal vivo come questo Gordon Pym dove bisogna stare dentro la materia, assaporarne il gusto, il respiro, il rantolo, il sangue e sudore), si crea un'atmosfera empatica tra platea e palco e, grazie a luci e musiche enfatiche e metaforiche, toccanti e agitate, per un'ora siamo tutti sulla stessa barca, a lottare con vele e vento, tra squali e salsedine che sembra di sentirla sulla pelle, l'arsura sulle labbra, le reti smagliate, le fiocine arrugginite, il timone di legno e l'ancora pesante. In scena (ideata da Francesco Vitelli) un pezzo di un'imbarcazione che ci ha ricordato l'installazione di Claudio Parmiggiani “Naufragio con spettatore”, una sorta di Arca mangiata e fatta a pezzi, senza perdono, senza Terra Promessa da raggiungere.
E' un viaggio reale tra gli Oceani e un viaggio dantesco verso gli inferi e l'abisso inquieto che ci portiamo dentro, che ci trasciniamo in fondo allo stomaco dalla nascita come un macigno. I riferimenti possono essere tanti e si aprono continue finestre di senso che vanno ad assommarsi, a sfogliarsi, ad esfoliarsi, a prendere nuova linfa e corpo: i due marinai possono essere benissimo Pinocchio e Geppetto dentro la caverna-intestino del pescecane collodiano, l'aria minacciosa è quella di “Cuore di tenebra”, mentre si possono annusare stralci di “Gulliver” nella scoperta di mondi alternativi, come di “Alice” nella psichedelia che tutto trasforma, deforma e strazia. E' un racconto cinematografico (i video sono a cura di Francesco Calandra e Daniele Campea) agito e adrenalinico che ti scava, ti consuma, ti corrode, ti digerisce, ti prende a morsi, non lascia tranquillo lo spettatore che anzi mette alle corde. Siamo anche noi uomini di fatica tra ammaraggi e ammutinamenti, violenza glaciale e brutale, tra l'impossibilità di fuga, l'impotenza e l'elettricità dentro ogni scelta, ogni bivio dove ti giochi la vita e la morte. Gli attrezzi dei due (bella alchimia fisica e gestuale, incastonati in uno spazio angusto, ci donano ancor più il retrogusto amaro della claustrofobia, dei muscoli, della perdizione, del logorio) sono queste corde spesse e ruvide che diventano legacci e strumento per impiccarsi come cordoni ombelicali salvifici.
Corda come limite e frontiera ma anche sbarre da non poter attraversare, e ancora fune alla quale tenersi per non cadere nel buco nero che tutto inghiotte e fagocita. Impossibile non pensare a “Moby Dick” come a “Il vecchio e il mare”, ecco che ci sovviene “Ventimila leghe sotto il mare” ma anche “Novecento” ed è inevitabile non far riaffiorare “La tempesta” shakespeariana e come non pensare ad Ulisse. Ci sono venuti prepotentemente alla memoria anche la compagnia teatrale Cajka di Francesco Origo che aveva ideato i Teatri di Mare, per oltre venti anni hanno portato teatro utilizzando la loro barca a vela come palco attraccando nei porti della Sardegna circumnavigandola. L'ammasso e impasto di sensazioni ci trasportano in altre dimensioni sensoriali a valanga, a cascata, a precipizio immersi in questa performance parimenti dei bicipiti e dell'anima. Qui il “sapore di sale” è ferroso come il sangue e non certo frivolo. E' una narrazione croccante, materica, tattile, dove si sente chiaramente il sole, il rum, gli afrori, la paura dell'andare alla deriva. Sono (siamo) naufraghi o già fantasmi carontiani in questa avventura che non promette redenzione né alcun colpo di spugna a cancellare colpe e ingiustizie. Le corde sono budella aggrovigliate, nodi da sciogliere, suggestioni da estirpare per un'esperienza della platea non vista né subita passivamente ma vissuta sulla nostra pelle.
Tommaso Chimenti 07/05/2023
Foto: Carlo Pavone
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