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I "Gesti" di Alberto Severi: familiari, nostalgici, caldi

BIENTINA – Se ci avesse creduto un po' di più qualche anno fa, se avesse puntato (e avrebbe avuto tutte le carte in regola) sulla drammaturgia e sull'attorialità, oggi Alberto Severi sarebbe conosciuto e riconosciuto a livello italiano. Ha trasformato in oro tutto quello che ha toccato: giornalismo, scrittura di prosa come di scena, palco in veste di monologhista, addirittura vignettista. Ha capacità e si mette in gioco costantemente ma rimane in lui quel velo di malinconia per non aver spinto sull'acceleratore, per non essersi giocato gli assi nella manica, per non aver colto al volo possibilità, potenzialità e occasioni, per non essere salito su qualche treno, quelli che passano una volta sola. Ma Severi comunque, pur facendo l'attore a tempo perso e il drammaturgo part time, ha inanellato (tanta è la26 mr hyde pag passione e la professionalità che lo porta alla scrittura e al teatro) una serie di piccoli grandi spettacoli (ricordiamo “La Guerra piccola” come “Palle”, “L'(H)anno detto di Amerigo” come “20 anni da Mr Hyde” o “Egocentrico, Io?” fino al dittico sui “Marziani”) che però, per mancanza di un'adeguata distribuzione, non hanno girato quanto avrebbero meritato. Dopo trent'anni di Rai però la vena creativa non si è inaridita né consunta né prosciugata, anzi con quest'ultimo “Gesti & Gestacci” sembra inaugurare una nuova primavera, una nuova fresca ventata: è adesso il momento di spingere e non lasciar morire questa fonte di delicata intelligenza, questo scrigno di tenera follia fatta di guizzi e slanci, grande sarcasmo pungente e saggio acume dotto.

La sua lingua abbina ricercatezze letterarie al triviale popolare (sulla scena ha un che di comicità benvenutiana, il retroterra e humus è lo stesso), riesce nel difficile equilibrio tra il forbito e il torbido, tra l'alta e l'elevata terminologia, ricchissima e colta, paradossale alla Villaggio, eccessiva alla Amurri, grottesca zavattiniana o esagerata iperbolica alla Bergonzoni, a tratti felicemente ridondante e pomposamente piena e barocca, ora bartezzaghiana articolata adesso rodariana, che si fa ossimoro con la materialità carnale e volgare della quotidianità spiccia, che confligge lietamente in un incastro di termini ora desueti, adesso ampollosi, ora ancora tronfi e parodistici, con un'aggettivazione carica, che rendono il quadro d'insieme artificioso e architettato come di rara potenza enfatica e di preziosa geniale eleganza stilistica.

710 testataE sono proprio i “Gesti”, quelli perduti, quelli sepolti e accantonati, quelli abbandonati nella memoria e tralasciati, il focus di questa parabola. Severi s'accende come un diesel ma quando raggiunge i pieni giri il motore si fa scoppiettante e folgorante, le battute fioccano, il discorso si fa fluido in un misto impastato di una nostalgia contagiosa, mai lamentosa né frignante, e seppiata che sa di famiglia, di casa, di affetti, di età che non torneranno più. E sono quei Gesti, quelle piccole movenze che diventano automatiche e naturali (il “Gestacci” del titolo è fuorviante perché questa seconda tranche non viene approfondita e potrebbe essere materiale per una nuova prossima narrazione), che ci fanno essere ciò che siamo, quelli che siamo diventati. Il monologo esplode e cambia marcia letteralmente quando l'attore-giornalista prende in mano la macchina da scrivere di quelle vecchio stampo; lì scatta qualcosa, è tangibile e concreta nel pubblico la sensazione e la percezione dello scarto, del cambio di registro dopo un incipit che a tratti si mostrava dispersivo. Severi invece da questo momento in poi, descrivendo la tridimensionalità della parola che si faceva solida e materiale e palpabile sul foglio, apre il cassetto dei ricordi, l'infanzia, l'adolescenza, donandoci quell'impasto di autobiografia espansa e collettiva che tutti tocca, che tutti ingloba. L'altro protagonista sul palco è uno di quei vecchi telefoni Sip che squillando lo riporta in contatto con familiari che socchiudono coperchi sul passato, la sorella, i genitori, e ogni parola adesso ha più senso, ha più presa e grip, rimane ancorata ed è sentita, avvolgente, coinvolgente, pastosa.Alberto Severi kiuF U460208930521ZCC 1224x916CorriereFiorentino Web Firenze 593x443

Partendo dalle cabine telefoniche, oggi smontate e cancellate dalla geografia delle nostre città orfane di quei parallelepipedi che contenevano parole e storie, la macchina del Tempo spalanca le sue braccia: ecco il gesto toccante di guardare la Luna con il padre, quello commovente del tritare con la mezzaluna della madre, quello di mettere i vinili sul piatto, quello di mettere gli elastici sul portapacchi prima di andare in vacanza con i genitori, fino al pugno chiuso nelle manifestazioni studentesche. Gesti e mai gestacci. Alberto Severi rimane campione di sinonimi, eroe dell'aggettivazione sperticata.

Tommaso Chimenti 28/01/2019

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