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“Fuckin’ Idiot”: cos’è e cosa poteva essere l’ultrà del 2016

Ultrà”: 1 - nella Francia della Rivoluzione ha originariamente indicato chi spingeva all’eccesso la propria ideologia e prassi politica. 2 - in Italia è usato nel linguaggio politico con il significato di “oltranzista, estremista” (sia di destra sia di sinistra) e in quello dello sport e giornalistico per indicare un tifoso fanatico di una squadra di calcio, spesso appartenente a gruppi organizzati, autore di atti di vandalismo e di violenza contro appartenenti e sostenitori della squadra avversaria.
Basta sfogliare un dizionario per comprendere quanto la parola “ultrà” avvicini il mondo politico e quello calcistico. Lo spettacolo “Fuckin’Idiot”, firmato da Esercitazioni Invisibili (Federico Cianciaruso, Cristiano Di Nicola e Simone Giustinelli) presentato durante la rassegna Dominio Pubblico: La Città agli Under25 al Teatro Studio Argot, ha tra gli obiettivi cardine quello di affiancare queste due anime, concentrandosi sullo sport il quale inevitabilmente nasconde molto altro. Partendo dal monologo teatrale Ultrà di Giuseppe Manfridi, il testo mostra questa figura-limite, specchio di una società altrettanto “al limite” in cui la violenza è sempre più pericolosamente vicina all’unica parvenza di libertà possibile.

Cos’è “Fuckin’ Idiot”
Nella penombra entra l'attore come un tornado, colpisce il frigo con una cinghia e mantiene questo stato di agitazione per tutto il monologo. Una grande prova per Federico Cianciaruso, nei panni di un tifoso accanito, il cui unico mondo è la Fuckinidiot1squadra. Isolato, non ha rapporti umani, insulta la vicina, comunica solo con la televisione. Ciò che conosce è basato sulla sua limitata esperienza personale, senza alcun confronto. In questa realtà, che si è costruito, la squadra calcistica racchiude i suoi valori, come una costituzione, garantita dalla società e dal suo presidente. Quindi se quest’ultimo prende una decisione in contrasto con il suo pensiero, come vendere un giocatore, il suo sistema crolla. Una similitudine con la politica, dove il cittadino si sente chiamato a scegliere per la propria libertà. Quando ciò non accade avviene la protesta e la rivoluzione: reagisce protestando con una chiamata al programma sportivo e quando si sente chiamato “animale” lo diventa. Giustifica la violenza, i cassonetti bruciati, le molotov. Indossa il passamontagna e colpisce forte il frigo con la sua cinghia. Siamo tornati all'immagine della scena iniziale con circolarità. Peccato che questa resti sospesa, senza che le parole si trasformino in azione.
Un grido di protesta contro l'omologazione e la privazione della libertà individuale “siamo uguali nella mischia perché vogliono vederci così”. Ma se il pensiero è condivisibile, la sua reazione meno.
“Cosa ci fa stare meglio? Uno: l'amore. Due: la violenza e tre non c'è” allora non c'è neanche un futuro, se la ribellione non punta a restaurare la libertà, se non ci sono valori autentici e la possibilità di condividerli. Una provocazione per stimolare a non restare assopiti con lo slogan “scelgo per me, sono libero”, ma senza una proposta di cambiamento e neanche una definitiva dimostrazione di cosa un malgoverno comporta in un soggetto violento e fanatico.

Cosa poteva essere “Fuckin’ Idiot”
Per un qualunque romano, i primi 40 minuti di “Fuckin’ Idiot” possono facilmente ritrovarsi in un normale lunedì mattina in un bar dopo una sconfitta calcistica: le parole “angoscia” e “magone” risuonano nel bar come nel testo del monologo, parole forti, piene di risentimento che condizioneranno inevitabilmente l’umore di una giornata intera. Lo spettacolo racconta una realtà quotidiana per milioni di persone, riesce a essere quanto mai contemporaneo, ma è anche un’occasione sprecata sotto diversi punti di vista.
Lo spettacolo poteva essere un’ottima analisi su una figura che ormai possiede una precisa mentalità e codice etico (non sempre rispettato). Poteva essere una possibilità per chiedersi perché questo tifoso si ritrova solo, nonostante viaggi in tutta Europa pur di seguire la sua squadra del cuore: il protagonista non interagisce con un gruppo di altri tifosi (spesso, i giovani si avvicinano al mondo degli ultrà per sentirsi parte di qualcosa), ma le uniche interazioni avvengono con il telefono e con la televisione. Forse anche lo sport, un’esperienza di aggregazione sociale fin dall’antichità, finisce per essere un momento di isolamento nella società odierna.
Poteva essere uno spettacolo che ci facesse veramente comprendere questo nuovo martire della società (proiettato come un cristo sull’altare della violenza) e invece non è stato sufficientemente approfondito e chiaro: ci ha distratto con video troppo lunghi e con delle voice-over dalle arie poetiche, ha preferito concentrarsi su un comportamento monotematico del protagonista per i primi 45 minuti per poi concedersi alle riflessioni importanti negli ultimi dieci.
Poteva essere il momento di spiegarci fino in fondo le ragioni di questo “fottuto idiota” e della sua irrazionale violenza, ma, alla fine dello spettacolo, le sue azioni non hanno assunto un nuovo significato sociale o politico ai nostri occhi.

Federica Guzzon, Matteo Illiano 04/06/2016

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