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Fratelli d’Italia, l’Italia s’è persa

Che vigliaccheria la guerra, quando a farla scoppiare sono “gli uomini studiati” e a subirla sono gli uomini comuni, i contadini, gli analfabeti, gente semplice per la quale il lavoro è sinonimo di fatica, il ragionamento di sopravvivenza quotidiana e la Patria – quella con la maiuscola, che avvicina i pugni ai petti – finisce con l’ultima casa del paese e non un metro oltre. Che sofferenza la guerra, quando a casa, lontana e neanche facilmente riconoscibile su una cartina geografica, restano madri, mogli, fidanzate, innamorate in attesa, appese a un tempo indefinito e illusorio. Che controsenso la guerra, quando quattro milioni e mezzo di soldati mandati al fronte, venuti dalle campagne, non riescono a capire un dialetto diverso dal proprio ma devono obbedire a una nazione di cui non conoscono i confini.
Mario Perrotta ha il dono di fare del teatro di parola narrazione della memoria. La memoria collettiva, sociale, storica ma anche intima e individuale, a colori o in bianco e nero, capace di penetrare il tessuto esperienziale di chi ascolta e rimanere, appunto, incollata. Lo ha dimostrato con il Progetto Ligabue, Premio Ubu 2015, lo rafforza con questo Progetto Grande Guerra dove la sua personale e sensibile visione sul primo conflitto mondiale si fa duplice e complementare. Se con “Prima Guerra. Quattordicidiciotto” ha messo in scena una storia sconosciuta ai più e mai insegnata, quella delle vicende subite da tutte le popolazioni austriache di lingua italiana (trentini e giuliani), con “Milite Ignoto. Quindicidiciotto” (tratto da “Avanti sempre” di Nicola Maranesi) entra nelle viscere dello scontro bellico, ponendosi direttamente in trincea, dalla parte di chi resiste, di chi è mandato al massacro.
L’attore salentino, seduto su alcuni sacchi di sabbia, è un corpo lucente di rara potenza drammaturgica; completamente immobile con la parte inferiore del corpo, costruisce un’ora e mezzo di monologo fatto di braccia, mani, spalle, testa, occhi, bocca, parole e voci. Le voci di fanti lombardi, piemontesi, liguri, emiliani, toscani, laziali, campani, pugliesi, calabresi, siciliani, sardi, che Perrotta fa vibrare ed emergere attraverso dialoghi veloci ed efficaci, tanto da far apparire la scena calcata da più interpreti.
“Una vera unità democratica. Non c’è più Nord o Sud, la merda è merda per tutti”. E sembra quasi di sentirlo, l’odore dello sterco, così come quello del fango, che punge, penetra e infetta il corpo dei soldati disperati, del sangue raffermo e dell’urina che scalda ma imbratta. Perrotta agisce su un cortocircuito temporale che rende la Grande Guerra ancora viva e attuale, dopo più di cento anni, e sembra quasi risvegliare una memoria fisica tangibile, tanto da trasformare la sua narrazione in un racconto di sensi: occhi spalancati nel buio pesto tanto cercato, desiderato, che perrotta1fa paura ma anche protezione, e a riflettere i bagliori delle esplosioni delle bombe sganciate dal cielo, luminose come i fuochi nelle feste patronali; orecchie che si perdono tra botti “come tuoni di tempesta che non portano pioggia ma metallo” e “respiri di ansia”; naso bruciato dallo schifo dei fetori che arrivano dal basso come fossero “avvisi infernali”; bocca secca, con la lingua attaccata al palato; mani che impastano il sangue con la terra, a toccare i petti dei compagni che son lì gomito a gomito, corpo a corpo.
“Di civile non hai più niente. Ti aggrappi al primo cristiano che trovi nel buio”. E l’attore e drammaturgo procede in questa sua scalata sulla trincea, dove il “dio fango” miete vittime quanto i proiettili dei nemici, aggrappandosi alla propria forza interpretativa, plasmando la Storia in un flusso drammatico che spinge il climax sul finale, in quella corsa contro l’artiglieria nemica che condanna i soldati mandati allo sbaraglio a una morte al buio, una morte ignota.
Mario Perrotta ci offre con umanità e delicatezza un taglio crudo e viscerale della Prima Guerra, un racconto attento, commovente e folgorante di milioni di uomini chiamati ad affrontare il mondo per la prima e ultima volta, dimenticati dalla storia e dalla patria, e la possibilità di assistere al prezioso rito collettivo della trasmissione della memoria.
Nella babele di lingue “sono tutti e nessuno, sono il milite ignoto”.

Visto al Castello Pasquini, Castiglioncello, il 17 aprile 2016.

Giulia Focardi 02/05/2016

"Milite ignoto" sarà in scena al Museo del Forno fusorio di Tavernole sul Mella (BS), il 13 maggio, e al Teatro India (Roma) dal 22 al 24 maggio.

Per approfondimenti su "Prima Guerra. Quattordicidiciotto": https://www.recensito.net/index.php?option=com_k2&view=item&id=14148:la-prima-guerra-dei-trentini-storia-sconosciuta-tragica-e-toccante&Itemid=121 

 

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