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Festival Inventaria: “Ladyoscar” fuma sogni

Un divano rosso, un Coso e una Cosa. Ecco cosa illuminano i riflettori di Sala Moretti, sabato 14 maggio, al Teatro dell’Orologio. Coso (Riccardo Floris) si accende una sigaretta, indossando uno smanicato azzurro, jeans abbandonati ben sotto la vita, occhiali da sole e cappuccio alzato. Cosa (Alessia Berardi), nel suo completo sportivo un po’ trasandato, si alza dal divano e balla maldestramente una musica che sente solo lei. Quello che si apprestano a fare, tra la frenesia e l’abitudine più noiosa, è drogarsi. Perché la droga è l’unica cosa che sanno lavorare.
Ladyoscar”, produzione di “20 chiavi teatro” (Roma) è infatti la triste storia di questi due ragazzi che, imprigionati nella monotonia di un’esistenza qualunque, hanno la pretesa di trovare nella magica polvere bianca un qualche motivo di vita. ladyoscar02Bong, strisce, sigarette, pasticche, fumo, tanto fumo: per chi quella sera è giunto a teatro impreparato nell’arte del fai-da-te, ne è uscito un’ora dopo perfettamente versato. Perché la somma di tutto quello che (non) accade in scena sono gli insensati dialoghi di questa strana coppia, emersi per caso attorno ad un’unica grande domanda: “pippiamo?”. La loro si potrebbe definire un vita in stand-by, nella quale è già troppo tardi per rincorrere sogni che paiono ormai irraggiungibili e, sebbene duri a morire, destinati a stagnare in una coltre di incoscienza.
Attraverso il romanesco più coatto e una smodata volgarità, il testo, apparentemente vacuo, di Ferdinando Vaselli richiama alla mente la drammaticità di “Noi, ragazzi dello zoo di Berlino”. Trent’anni dopo, nella periferia di Roma, la droga si muove ancora ai margini di una società (la nostra) formalmente perbenista, colpendo dritto al cuore un numero di persone sempre più ampio. E i primi a pagare lo scotto di questo florido mercato sono i giovani: forse ignorati dalle proprie distratte famiglie o emarginati o maldestramente vittime di una serata galeotta, finiscono per rimanere schiavi di questo vortice di dipendenze. Sarebbe bello non dover puntare il dito contro chi questo mercato lo muove e che, guarda caso, rappresenta la classe più agiata del paese, se non addirittura (ma lo diciamo a bassa voce) quella politica. Ma la verità è che chiunque abbia riempito questo devastante vaso di Pandora non ne aveva ben presente le conseguenze. E non si parla dei soliti moralismi ma di un cancro che ha colpito alla fonte la speranza di un futuro migliore: non è questione di salute, di strade sporche, di evasione fiscale, di commercio illegale, di tutto quello che intacca il viso pulito della nostra cara Italia. Ma del vuoto che riempie la vita di sempre più ragazzi. O meglio, della “merda” che fa marcire quello che resta di intere compagnie di amici.
La potenza del lavoro di Floris e Berardi sta nel riuscire a trasmettere tutto questo attraverso l’estrema naturalezza di provocanti battute che scatenano la risata. Un “riso amaro”, certo, ma che se sfruttato come strumento scolastico e formativo, contribuirebbe a spezzare quella catena di carestia morale che, colpevolmente, riguarda tutti noi.

Elena Pelloni 17/05/2016

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