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Alma Da Lisboa

LISBONA – Almada ha il sapore tutto arabo di una mandorla allungata, soffice e pannosa con le sue dune e collinette che sembra San Francisco. Potrebbe essere, con un po' di fantasia forzata, una Giudecca veneziana. Dal suo piccolo cimitero monumentale a guglie e intarsi che sembra di stare dentro Spoon River, si scruta prima e scorge poi nella sua imperialità il ponte rosso che collega l'anima di Lisbona con quella di questa lingua di terra divisa dalle onde inquiete di un fiume che si fa già prepotentemente oceano. Un ponte che somiglia insistentemente, nel almadaponteferro e nell'acciaio, nel colore vermiglio e nelle tubature e fili che lo cingono, a quello californiano delle gomme da masticare. Due le settimane di programmazione per l'importante festival teatrale (curato dal direttore Rodrigo Francisco) organizzato in questo angolo di Lisbona, al di là del mare a sentire l'urgenza del fado portata dal vento fresco della sera, l'odore del bacalau che si innesta nelle narici, il sapore del latte alla portoghese che dolce ti carezza, ti ammansisce, ti fa cedere. Trentaquattresimo anno, e non sono pochi davvero. almadamaniUna quarantina di spettacoli con le punte di Marthaler, il nostro Pippo Delbono, i Peeping Tom, ma tanto altro ancora da scoprire. Molti murales danno il senso di vitalità e forza, di protesta e ironia. Cristiano Ronaldo campeggia sui cartelloni colanti di pubblicità. E' il marchio vincente di un Portogallo che ha rialzato la testa e la cresta. Molto verde e storia. Questa parte non è stata sacrificata, o ha resistito all'ultimo grande terremoto che ha colpito la capitale lusitana. Una grande ascensore in vetro di una cinquantina di metri conduce dalla struttura di fortificazione al mare, alla strada in cemento che costeggia una spiaggetta mangiata e due trattorie tipiche colorate e rustiche, pescatrici e ruvide con affaccio su quell'apertura blu che riappacifica e rasserena. Scorrendo tutti i fumetti disegnati sulle mura almadaaccatastate e abbandonate si arriva prima alla fregata e, accanto, ad un sommergibile. Una chiesetta celeste, che ricorda quelle caraibiche, è contornata e assediata da ristorantini all'aperto. La birra Sagres rinfresca l'ugola mentre la scultura delle tre grandi mani arrugginite allungate verso il cielo sembrano voler stringere le nuvole, strappare un pezzo di blu al Paradiso. Il Christo Rei, copia di quello più famoso e più alto di Rio, sta lì sulla collina (e qui ritorna Edgar Lee Masters) domina e controlla il flusso d'auto sul ponte, butta un occhio sul mare, ci benedice a braccia allargate, dicendoci “bambini venite parvulos”.
Il simbolo artistico e marchio della rassegna 2017 è una specie di drago o Idra a due teste, tra l'antropomorfo e lo scimmiesco, un'ala che ricorda il Leone veneziano e quattro ruote per una costruzione di una chimera che ha un che di Incas nelle vene. Interessanti gli spazi utilizzati che ci fanno conoscere e viaggiare per il quartiere che pare intimamente votato all'arte contemporanea: la Scuola Antonio da Costa dove nelle notti si svolgono anche i concerti, il Teatro Municipal Joachim Benite, il Forum Romeu Correia, il Teatro Studio Antonio Assuncao, l'Incrivel Almadense, la Casa da Cerca, e infine gli spazi a Lisbona, il Teatro Nacional Maria II, il CCB e il Teatro Taborda.
almadamuralesQua Pessoa sostiene tutt'ora qualcosa di importante. La bandiera verde e rossa schiaffeggia alta il vento. “Historia do cerco de Lisboa” è il primo spettacolo che ci viene in soccorso. Saramago docet, altro baluardo e bastione, baule e scrigno di questo piccolo e affascinante Paese. Quattro compagnie portoghesi riunite attorno a un unico progetto per ricreare una sorta di Sei personaggi pirandelliani con uno scrittore che vuole, negandola, aggiustandola a suo modo, ricomporre la Storia, trasformarla, riscriverla. I personaggi, del passato e contemporanei, respirano nella stessa dimensione in una scena monumentale di una grande biblioteca colma di volumi che tanto, a noi italiani, ci ha ricordato quel “Moby Dick”, anzi la stanza del Capitano Achab-Giorgio Albertazzi, a cura di Antonio Latella. I libri sono la storia degli individui che compongono una nazione ma la Storia, si sa, la scrivono i più forti e potenti. Tutt'altro che il Bartleby melvilliano, il nostro scribacchino, intercalato da un coro anche sarcastico (soprattutto con gli invasori arabi, leggermente derisi e ridicolizzati), modifica il passato del suo Paese. La guerra è raccontata come fosse una telecronaca di una partita di calcio. Ferisce più la penna della spada.

Tommaso Chimenti 07/07/2017

Foto: Giulia Focardi

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