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"El discurso del rey": la versione spagnola di una storia internazionale

I Paesi Baschi lasciano negli occhi un senso di grandezza domestica che non spaventa né turba. Sarà per i colori tenui delle città, sarà per quella calma e per l’intima sensazione di adeguatezza che trasmette la gente, sarà per la mano grande dell’Oceano, attraversando l’estrema regione spagnola si percepisce un respiro di benessere che anima ogni cosa. Bilbao ne è il massimo esempio: con un’eleganza mai scontata, popolare e sorniona (basta camminare per poche ore nelle vie del Casco Viejo), è riuscita ad andare oltre alla propria natura di città industriale e portuale investendo su una rifioritura artistica visibile in termini architettonici, culturali, sociali. Per quanto basti la sola visita al Guggenheim per raggiungere il capoluogo della Bizkaia (la provincia della Biscaglia), Bilbao ci richiama anche per la sua produzione teatrale, che, dal Campos Eliseos all’Arriaga, butta un occhio all’Europa pur rimanendo ben radicata sul territorio.
Il Teatro Arriaga è un vero e proprio monumento cittadino, il principale luogo di Bilbao dedicato alle attività artistiche e teatrali. Già per la sua locazione - unisce la città vecchia all’inizio di quella nuova – può essere visto come una base focale dello sviluppo cittadino, un punto di sutura tra le ombre, i bassifondi – oggi animati dai migliori locali di pintxos dell’intera regione – e la visione splendida ma sobria della modernità. Sopravvissuto alle guerre carliste e resuscitato dopo due incendi (l’ultima ristrutturazione è datata 1914), il Teatro Arriaga ha aperto la stagione attuale con una storia conosciuta in tutto il mondo, grazie all’omonimo film di Tom Hooper, “El discurso del rey”.
La messa in scena spagnola non si allontana dal testo originale e il regista Magüi Mira – che ha ricavato un ottimo adattamento teatrale – si è affidato alle capacità degli attori per costruire uno spettacolo corposo, dotato di ritmo e del giusto equilibrio tra ironia e dramma. Adrián Lastra (il principe Albert, futuro re Giorgio VI) e Roberto Álvarez (Lionel Logue), su tutti, tengono alto il livello dell’opera, insieme a un’ottima Ana Villa (duchessa di York, moglie del principe) preziosa ed efficace partner di Lastra sulla scena. Le intuizioni extra-diegetiche non mancano – dal re nudo con spalle al pubblico ad aprire il primo atto, agli attori che rimangono sempre in scena, a margine di essa, quasi con una funzione voyeuristica – ma è la parola a essere la vera protagonista, anche in chiave simbolica.
Il problema di balbuzie del futuro re causa la perdita di dignità e d’identità dell’uomo, il quale sarà costretto, nel lungo lavoro con Logue, a scendere in profondità dentro se stesso, affrontando così, nei propri incubi, il rapporto conflittuale con il padre, l’arroganza del fratello, la paura paralizzante nel parlare in pubblico. La lunga discesa nelle ombre e nei traumi diventa l’inizio di una metamorfosi dal noto epilogo, l’eco amletiano di dubbi esistenziali che, stavolta, non generano nodi di follia irreversibile.
Mira lavora sulla parola dandole corpo aldilà del testo, quale fil rouge necessario a unire tutti i nuclei narrativi: il rapporto tra uomo/parola e potere (“Un hombre sin palabra es un hombre sin poder”), le aspettative, il senso di inadeguatezza, il peso del giudizio altrui, la consapevolezza del sé. Gli attori (insieme a Lastra, Álvarez e Villa: Gabriel Garbisu, Lola Marceli e Ángel Savín) danzano, si muovono con decisione sulla scena, divertono senza perdere mai la carica drammatica che la storia impone. Adrián Lastra (stella della televisione spagnola) impressiona per il lavoro estremo sulla voce e dimostra, per tutta la durata della pièce, di padroneggiare la scena con piglio spettacolare e istrionico.
Un lavoro lineare, consistente, armonioso che ha il merito- qualora ce ne scordassimo - di porci a contatto con le paure e i sogni che l’inconscio manipola. “Morire, dormire, sognare forse: ma qui è l'ostacolo, quali sogni possano assalirci in quel sonno di morte quando siamo già sdipanati dal groviglio mortale, ci trattiene: è la remora questa che di tanto prolunga la vita ai nostri tormenti.” (“Amleto”, William Shakespeare).

Giulia Focardi 12/10/2015

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