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E' a teatro la "buona scuola": Silvio Orlando, il prof che avremmo voluto

PONTEDERA – Sono passati venticinque anni dalla prima messinscena e le cose a livello scolastico-didattico-pedagogico all'interno dei nostri istituti superiori non sono certo migliorate. Anzi. Ancora, purtroppo, attualissimo “La Scuola” che dal teatro passò al cinema, trattato da Daniele Luchetti (che si è ultimamente perso sulla via giubilare di Francesco) e che adesso ritorna al palco. Silvio Orlando c'era e c'è. Non ci aveva convinto qualche anno fa come Shylock nel “Mercante di Venezia” curato da Valerio Binasco, qui invece affonda nella sua materia, quella della delicatezza e del fallimento, fallibilità e fallacità umana, i buoni sentimenti ma senza buonismo, la delicatezza di una carezza e la riflessione piena di ironia, privo di aggressività e colmo di dolcezza. Uno, dieci, cento Orlando vorremmo vedere.
A che punto è oggi la scuola italiana? E' sempre al suo posto il sindacato Gilda, nome più vicino ad una soubrette da dopoguerra che ad un'associazione di categoria. Non è ben messa né dalla parte chi sta dietro i banchi a studiare né dalla parte del corpo docenti, precari, vessati, spostati come marionette da una “Buona Scuola” che forse è stata così nominata proprio perché così ottima non è. In questi vent'anni da una parte ha lavorato sotto traccia il berlusconismo, con le televisioni del dolore e della stupidità dei reality alla rincorsa dello share ad abbassare sempre più la soglia di tollerabilità ed accettabilità delle immagini e dei messaggi propagandati e promossi, che hanno aiutato e favorito un analfabetismo di ritorno preoccupante. L'Accademia della Crusca ormai s'è arresa e rassegnata all'uso errato errato del congiuntivo, moribondo, ai “qual'è” oppure a “eco” al maschile o “i pneumatici”.
Qui, nella messinscena teatrale, a differenza del grande schermo, solo i professori affollano questa aula-capannone. Non ci sono i ragazzi, non ci sono gli allievi, non ci sono gli alunni. Soltanto un manipolo di docenti, frustrati, repressi, insoddisfatti per la maggior parte, che non hanno a cuore il loro lavoro pieno di responsabilità, che, proprio come una classe di giovani studenti, litiga, si attacca, piagnucola, si offende, si lamenta, si aggredisce, fa la pace, fa pettegolezzi, si unisce in fazioni, si divide in guerriglie di tutti contro tutti: “Siamo una grande famiglia”, “Sì, i Borgia”. Si ride dall'inizio alla fine.
L'attacco e la chiusa sono di un blues caldo, poderoso che apre e chiosa su questa sala professori, spostata in palestra, tra tubi per le riparazioni, impalcature di lavori in corso interminabili (metafora del sistema scolastico italiano), funi, armadietti rotti. Ci sono delle parole che aprono i cassetti della memoria di ognuno di noi: cimosa, gita, lavagna, note, registro, appello, interrogazione, compito in classe, giustificazione, assenza, campanella, compagni di classe, ricreazione, che anche a distanza di anni, di decenni, di lustri, provocano ancora sconquassi, brividi, incubi e poche volte nostalgia.
Ci arrivano tutti insieme come plotone militare con passo deciso che pare di avere di fronte “Il Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo. Ecco che affiora il Bart Simpson dei cartoni gialli statunitensi, così come Benigni che in “Non ci resta che piangere” diceva a Troisi: “Io, Giachetti lo boccio”, infiltrazioni da “Io speriamo che me la cavo” o “Auguri professore” dove svettava sempre la normalità paciosa di Orlando, prof illuminato alla “Attimo fuggente”, o ancora “Il rosso e il blu” dove al giovane insegnante, Scamarcio, pieno di entusiasmo vergine e di fuoco sacro, si contrapponeva il cinico e disilluso vecchio educatore, Herlitzka.
Due i perni su cui ruota tutta la drammaturgia: da una parte una presunta love story tra i personaggi di Orlando e Marina Massironi, dall'altra la decisione da prendere su uno studente problematico, e non proprio modello, pluriripetente, Cardini, negato per qualsiasi materia ma eccellente nell'imitare la mosca, metafora kafkiana dolorosa della sporcizia, fetore e squallore di molte famiglie, di futuri negati, dello stato della scuola pubblica nostrana, dell'illusione che si comincia nella vita tutti dallo stesso nastro di partenza con le stesse opportunità. Lo scrutinio, riguardante “l'avanzo di galera” Cardini, segue il procedimento de “La parola ai giurati”, con cambiamenti di opinione, convincimenti, conteggi tra salvezza e bocciatura.
Ci sono i professori arrabbiati dediti alla punizione e quelli alla giustificazione dell'alunno, chi vuole reprimere comportamenti non adeguati e chi li vuole capire: “La scuola italiana funziona solo con chi non ne ha bisogno”. Chi vuole stroncare (affiora “Il giovane Holden”) e chi vuole proteggere. Una lotta impari quella dei ragazzi contro l'adolescenza, i genitori, il loro corpo che cambia, il futuro, i professori. Tutti avremmo avuto bisogno di un prof come Silvio Orlando.

Visto al Teatro Era, Pontedera (PI), il 13 gennaio 2016

Tommaso Chimenti 16/01/2016

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