FIRENZE – Nella vita, fuori dalle tavole del palcoscenico, “mettersi la maschera”, così come “recitare” o “essere teatrali”, hanno sempre accezioni negative, sottintendono un sotterfugio, una fregatura, un doppio fine malevolo. Ma del mettersi la maschera ne ha fatto un mestiere l'attore e regista fiorentino Duccio Barlucchi, mascheraio, costruttore, insegnante, attore, formatore, artista a tutto tondo. Nella sua casa-atelier alle pareti sono attaccate sue opere d'arte suggestive in cartapesta che hanno al centro la maschera, appunto, o un corpo di donna o quelle che lui chiama “per sottrazione” scrostando il colore superficiale e portando alla luce figure sottostanti evocative e magiche. Ci tiene a sottolineare: “Non sono un pittore”. Barlucchi ha vissuto molte vite: è stato per anni in Messico, poi stanziale a Parigi, ha girato il mondo con i suoi spettacoli nei festival internazionali più disparati, ha venduto migliaia delle sue maschere, ha fatto parte dei match d'improvvisazione a livello mondiale (recitando anche al Teatro Bataclan, purtroppo reso celebre dalla strage del 2015 di matrice islamica, e vincendo un premio come miglior attore), fino ad alcune scene nella recente pellicola “Colibrì”.
Adesso la sua casa artistica è il Teatro d'Almaviva, compagnia che ha fondato, e che ha residenza al Teatro Il Progresso, dove abbiamo visto la sua nuova pièce “Il mercante di maschere” che riassume tutto il suo percorso di questi anni, con venti diverse maschere in scena per portare alla ribalta altrettanti personaggi o tipologie umane. Al Progresso insegna teatro, con e senza maschera, ad adulti e adolescenti (con i quali in questo periodo sta lavorando sull'Art 21, su libertà d'espressione, censura e coming out). E' lì che prende, e restituisce, la sua linfa. Si vede negli occhi ancora guizzanti che la curiosità per il mondo, la vita, il domani è ancora presente come fuoco. Proprio nei giorni scorsi ha ricevuto, per la sua attività pluridecennale (dal '77), a Roma, nella sede del Parlamento Europeo, il meritato e prestigioso “Premio Internazionale Comunicare l'Europa”. Ma è nell'atelier che si respira la magia della polvere, il lavorio delle mani, l'arte dei polpastrelli, in mezzo ai suoi “esperimenti di materia”. Ce ne sono centinaia, e sembrano parlarti o dirti con tono candido e mellifluo: “Prendimi, indossami”.
Ecco le maschere delle serie degli Argonauti, un Pierrot del 1980, un elmo: “La maschera deve funzionare, se funziona riesci a vedere un'entità”. C'è molto studio e ricerca dietro, sicuramente molta psicologia ed energia incanalata. C'è quella del Giudice, le molte della Commedia dell'Arte, quella del Matto di De Andrè e poi le maschere doppie emozionali, con due facce che raffigurano serenità e rabbia, o addirittura quelle con tre, male, colpa e peccato. La meravigliosa maschera dell'Aquila fatta di pelle, quella del Lupo-Ariete, la maschera di Paride con lo scudo incorporato, e poi l'Amazzone e Don Chisciotte o Dance la ballerina. E' un vero viaggio immergersi nelle parole, nei ricordi, nei racconti di Barlucchi che tocca i suoi oggetti (che non sono soltanto oggetti ma sono vivi ed hanno un'anima, se ne percepisce il respiro) le sue creazioni e si accende, apre i cassetti del tempo, ci fruga dentro, ne prende a piene mani e comincia a raccontare. E' un piacere ascoltarlo, immaginare. Ha molto da insegnare nella sua umiltà e tranquillità quasi ascetica: “La maschera rivela, non nasconde, dà voce a quello che è stato per troppo tempo zitto e silente”. La maschera può fare paura perché fa emergere i nostri volti nascosti, celati per troppo tempo sotto la cenere, spalancando il nostro palcoscenico di dentro. Il suo motto è: “Essere o esserci” nel solco del fare finta oppure di metterci, letteralmente in questo caso, la faccia.
Il suo “Il mercante di maschere”, giocando sul mercante shakespeariano ambientato in laguna, è un caleidoscopio variopinto e variegato di tante figure e caratteri ai quali Barlucchi dà forma e voce, un balletto al quale tutte le maschere vogliono partecipare con la loro carica, energia e storia: “La maschera fa da tramite con l'energia di chi la indossa”. Questa sua pièce è una summa di decenni di lavoro a contatto con la materia, è un rito pagano, è una festa: “La maschera risveglia ciò che dorme, rivela i volti nascosti, ti scuote, svela un altro te”. Emozione, cuore, fantasia, psicologia, c'è un che di trascendente, che esula dal materiale, che assurge all'altrove, in mezzo a tutte quelle cose sospese tra cielo e terra. Apparizioni, epifanie: ecco la prima gialla con un grande naso-becco azzurro. Ti portano in un altro mondo, aprono baratri, abissi, paradisi, panorami. Barlucchi dialoga con le proprie maschere che sono vive. Arriva un vecchio con il bastone che parla con le sue scarpe, quasi fossimo dentro la “Fantasia” disneyana, tra giochi di parole, parodie dialettiche. Arriva il bellissimo ironico duetto, “dialogo calorico-glicemico” tra due personaggi innamorati, Meringa e Strudel, tutto giocato sugli zuccheri, sui dolci, sulla pasticceria: da leccarsi i baffi. Si cambia la giacca, e la maschera ovviamente, ed entra in un'altra esistenza: c'è il Poeta-scrittore e il Capitano di nave con una maschera acquea (ci ha ricordato il “mostro” de “La forma dell'acqua”), il Matto con la camicia di forza quasi Gobbo di Notre Dame. C'è la Preghiera al Teatro come il pezzo antibellico in giacca mimetica tra sirene d'allarme e rombi di missili e scoppi di granate, infine si apre una valigia piena di nuovi lineamenti: “Metterci la faccia? Sì, ma quale faccia ci devo mettere?”, chiede in un gioco freudiano di doppi sogni. E' il Mercante di Maschere che propone, vende, contrabbanda, spaccia nuove identità. Barlucchi, con il suo volto medievale, alto e nodoso come una quercia, voce baritonale profonda e calda, è un alchimista, quel che tocca trasforma, e ci dice di “tirare su il mento”, di non avere paura, di essere orgogliosi di noi stessi, di andare fieri delle nostre debolezze e, se c'è qualcosa che non ci piace possiamo sempre cambiarlo, come lui fa con le maschere, mutando in altro, avendo il coraggio di cambiare e allo stesso tempo diventare sempre più noi stessi.
Tommaso Chimenti 20/02/2023