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"Donne in guerra": non vittime ma quotidiane combattenti consapevoli

CATANIA – “Date alle donne occasioni adeguate e saranno capaci di tutto” (Oscar Wilde).

La donna sembra essere diventata, nel nostro contemporaneo lessico, un oggetto da rivendicare o un cliché da sdoganare, molto spesso un ragionamento da strumentalizzare, un pretesto per dire altro. Si parla talmente tanto di donne che, paradossalmente, sublimandole a “materia”, qualcuno ha voluto renderle astratte per farne, non più carne, ma soltanto ragionamenti per allontanarle Bassa donne in guerra 1, da sx Egle                 Doria, Leda Kreider, Carmen Panarello, Federica Carruba     Toscano,         Barbara     Giordano, Isabella Giacobbe (1).jpgdalla realtà. Le donne invece, per chi non se ne fosse accorto e ne parla come animali in via d'estinzione, stanno nel reale, vivono, lavorano, soffrono, gioiscono, sono parte integrante di quel nostro meccanismo chiamato mondo. Anche la galanteria e la cavalleria hanno in sé il germe del protezionismo che controlla e vuole assoggettare. Mi duole dar ragione a Michela Murgia ma anche il discorso di Benigni, in favore della moglie, trasuda di quel maschilismo indorato di estrema gratitudine e fine gentilezza con la donna relegata a Musa, che ispira ma che non agisce, che sta dietro le quinte, bonaria, paziente, devota. Tutto il contrario di quello che tracima dal potente “Donne in guerra”, nuova produzione del Teatro Stabile di Catania.
A parlare delle “donne” si commette il peccato di accomunarle tutte a stereotipi, spesso forgiati dagli uomini. Ecco “Donne in guerra” ci parla di questo, ci fa prendere coscienza della donna nel suo tempo, non solo vittima e burattino da spostare, peso da portare, elemento che non fa notizia, numeri che non fanno la storia, ma protagoniste, capaci di prendere decisioni coraggiose, persone che, seppur nelle difficoltà, hanno preso in mano le loro vite, senza la retorica della salvezza né di Marte né del sangue né della Patria da salvare, e hanno vissuto non aspettando passivamente l'aiuto di padri, mariti, fratelli, ma scegliendo bivi pericolosi in maniera consapevole. Chi dice donna non dice danno. “Una donna dev'essere una piccola cosa carina, carezzevole, ingenua, tenera, dolce e stupida” (Adolf Hitler).

“Donne in guerra” ad una prima lettura ci racconta storie belliche, di vita e morte durante la Seconda Guerra Mondiale, ma se scaviamo più a fondo ci apre le porte della determinazione, della energia, della vitalità, della forza, del coraggio di non abbattersi, del non sottostare ai ruoli impostiBassa donne in guerra, Barbara                 Giordano (Anida).jpg per loro da altri, di ribellione alle classificazioni, di prendere in mano la propria esistenza senza attendere assistenzialismi né vittimismi. Queste donne, per fortuna, non sono “l'altra metà del cielo” né tanto meno il “sesso debole”, non si vestono di rosa né d'altro canto scimmiottano l'uomo e i suoi comportamenti legati al potere e al sopruso. Nel testo (che non si può definire “femminista”, sarebbe riduttivo) di Laura Sicignano, che firma anche la regia, e Alessandra Vannucci, sei diverse donne, sei modi differenti di interpretare e attraversare la guerra, quella guerra che combattono gli uomini al fronte imbracciando un fucile nella loro personale “Guerra di Piero” ma che qui, nella normalità delle città abbandonate, si fa sporca guerriglia con le mille regole non scritte della rappresaglia come della sopraffazione, dell'abuso.

Messo in scena nel 2015 a Genova al Teatro Cargo (che la Sicignano dirigeva a Voltri, nel Ponente ligure, prima di approdare allo Stabile di Catania; a proposito nel '22 scadrà il suo mandato e sarebbe una vera perdita se la sua esperienza terminasse appena dopo il primo triennio visto che ha risollevato il teatro dalla crisi e dai debiti nei quali era sprofondato), in questa nuova produzione etnea (le repliche andranno avanti per un mese, dal 28 settembre al 29 ottobre, scelta d'impatto questa per riaprire il teatro alla città, 80 spettatori a sera) la scena si presenta su un doppio livello, prima sul palcoscenico con il pubblico in piedi e la “presentazione” sopra bauli rossi delle figure che ci accompagneranno (1h 30' la durata) per poi scendere giù nella platea aperta dove sono state tolte le poltroncine ed è stato installato un binario e le casse adesso sono grigie e non preannunciano felicità. Ecco le sei attrici, caratteri diversi di un caleidoscopio infinito, tutte intense, pugnaci, determinate: Federica Carruba Toscano, Egle Doria, Isabella Giacobbe, Barbara Giordano, Leda Kreider e Carmen Panarello.Bassa donne in guerra, Isabella                 Giacobbe (Irene).jpg

Siamo nel '44 nostrano ma potremmo essere oggi in Cecenia o in Iraq, in Afghanistan, a Kobane in Siria. La guerra rimane tale anche cambiando latitudini e momenti storici. E queste donne non si sono fatte soverchiare dalle contingenze ma hanno preso in mano i loro destini: c'è la pasionaria Anita la partigiana, la borghese e pia Signora De Negri, Milena la bionda fascista, la levatrice, la matta, e Maria che per l'8 settembre ha fatto la pastasciutta per tutti. Le sei hanno un rapporto diretto con la platea, vanno vicino al pubblico, ci parlano, interloquiscono, lo interrogano, scambiano battute e oggetti. Noi siamo dentro la storia. Adesso siamo dentro questo treno ideale “che è mezzo vuoto e mezzo pieno e va veloce verso il ritorno, tra due minuti è quasi giorno, è quasi casa, è quasi amore”. Ci sono ricordi di fabbrica, perché adesso, con gli uomini assenti, le donne possono lavorare per portare lo stipendio a casa, vogliono votare, sono impegnate in politica. Sono Bassa donne in guerra, Leda Kreider                 (Milena).jpgdonne che fanno e hanno fatto la guerra pur non essendo andate in guerra. Sembra una contraddizione. Nei loro racconti di morte, di tragedia e sofferenza, di fame e di abusi, vengono al pettine i disastri che si sono accaniti su queste macerie umane. E' una narrazione brutale e crudele, dura, cruda, feroce, che non fa sconti, che non lascia niente al non detto, dalle fucilazioni agli stupri. Il pubblico non può non essere coinvolto e partecipe. Ma queste donne, ferite e vessate (non c'è happy end per nessuna, ognuna paga le proprie scelte), sono portatrici di messaggi positivi, c'è un barlume di futuro, un velo di domani: lavorano e protestano, si ribellano, si rivoltano e urlano, con le loro azioni, “Guerra alla guerra” senza chinare la testa. E' il loro camminare-incedere sbilenche sui sassi squadrati, che stanno tra i binari, a identificare il loro passo incerto ma anche la loro tenacia nel non cadere, il loro tenersi su senza lasciarsi sconfiggere dalle intemperie, dalle avversità, “dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo, dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai”.
Senza queste donne, senza le donne rimaste a casa a fronteggiare la deriva morale dei conflitti armati non avremmo la nostra forma di democrazia cresciuta sulle lacrime e sul sangue non soltanto dei soldati in divisa, nelle trincee o dei militi ignoti. Queste donne escono dalla solita narrazione di vittime indifese, anzi sono diventate protagoniste emancipate dei cambiamenti del loro e del nostro tempo.

“Per tutte le violenze consumate su di lei, per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l’ignoranza in cui l’avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le sue ali che avete tarpato, per tutto questo: in piedi, signori, davanti ad una Donna!” (William Shakespeare).

Tommaso Chimenti 29/09/2021

Foto: Antonio Parrinello

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