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Diapositive, Vhs e Break-dance raccontano l’epilogo di una vita divorata dal cancro. Così Nexus con “Giorgio” ci parla di suo padre al Festival Inventaria

È una serata particolare quella che ospita, il 17 giugno, il Teatro Studio Uno durante l’ottava edizione del Festival Inventaria evento organizzato dalla compagnia DoveComeQuando e creato da artisti per artisti nei teatri off della capitale. In scena è la volta di “Giorgio”, monologo scritto, interpretato e diretto dal regista e performer Nexus. Fin qui, sembra tutto nella norma. Ma in attesa dello spettacolo come di consuetudine, tra una chiacchiera e un bicchiere di vino, c'è un dettaglio che stupisce un po’. Mentre Laura Garofoli (attrice e aiuto-regia) si prepara sorridente ad accogliere il pubblico in sala, alcune persone in confidenza le chiedono “come sta?” (domanda che riguarda il performer stesso ndr.). Ed è in pochi secondi che l’atmosfera cambia improvvisamente. Perché sì, quando sulla scena l’attore dimentica il palco e porta se stesso, un’energia indescrivibile si sprigiona dietro e fuori dal sipario. Ciò a cui stiamo per assistere è la storia del rapporto tra l’autore e suo padre dal 1984 al 2008, anno della sua scomparsa. nexus 2
I più vicini dunque sono preoccupati di sapere come lui, pronto a riceverci, stia in quella sera dall’aria frizzantina.
Su una sedia bianca, impegnato a giocare al game-boy, è lui, Giuseppe Gatti da un fisico incredibilmente scolpito che dopo averci fatto accomodare inizia a raccontare la sua storia. E lo fa spalle al pubblico in un primo momento, proprio perché che ci siano delle persone ad ascoltarlo sembra cadere in secondo piano. Quel che lui vuole condividere infatti è indirizzato per primo a se stesso permettendosi così di riportare in vita suo padre tramite ogni parola o intenzione, anche solo per una sera.
Ma il vero punto forte di questa esibizione giace proprio nella sua poliedricità espressiva. Non è solo l’essere umano che accompagna i visitatori nell’oblio della memoria, ma anche tutte le svariate possibilità che lui ha di raccontarsi. E come farlo? Beh, lui lo fa innanzitutto con la break-dance. Il suo percorso iniziato nel ’98, che lo ha visto poi entrare nella crew Urban Force, diviene mezzo efficace per raccontare i momenti di euforia di un bambino in sala giochi o ancora di quello stesso portato dal padre nei boschi per cacciare, quando avrebbe voluto essere altrove. E non finisce qui. Energia allo stato puro intelligentemente utilizzata, poiché scandire quell’ora alternando le fasi parlate a quelle ballate sarebbe stato ancora poco rivoluzionario: ed ecco infatti che arrivano anche immagini, attraverso un proiettore di diapositive sui muri laterali della stanza, o ancora una vecchia tv che trasmette scene del cinema care a chiunque sia cresciuto negli anni ‘80/’90: le battaglie di Gassman ne "L'Armata Brancaleone", il volto disperato di Atreiu in “La Storia Infinita” e altri ancora.
Non lasciatevi ingannare però dall’apparente dinamicità ludica con la quale il giovane Gatti ha voluto parlare di suo padre, tanto spazio rimane per una sincera commozione e una sentita interpretazione di se stesso. E a condurlo nella sua infanzia è una grande ragnatela bianca dietro lui, segno indistinguibile del tempo sospeso, cui con energia strappa i ricordi (come una cassetta rovinata, un walkman con delle cuffie o una divisa mimetica).
Un’esibizione ricca, emozionante e stimolante con un tocco di novità che non guasta mai, quando portata con convinzione. Il Festival è dunque sulla buona strada e si prospetta regalare ancora altre sorprese per i quartieri romani.

Daria Falconi 21/05/18

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