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“Condannato a morte” al RomaFringeFestival: da Victor Hugo al punk

Visto il 21 giugno 2015 al RomaFringeFestival
Regia: Davide Sacco
Interprete: Orazio Cerino
Allestimento scenico: Luigi Sacco
Costumi Clelia Bove
Compagnia Avamposto Teatro – Gitiesse Artisti Riuniti
Spettacolo patrocinato da Amnesty International e dal Giffoni Film Festival


Correva l’anno 1829, quando Victor Hugo scriveva “L’ultimo giorno di un condannato a morte”. Il suo ecumenismo intellettuale, prestato allo scottante tema della pena capitale, non poteva che partorire uno scritto incisivo e corrosivo: incisivo perché metteva a nudo l’inutilità della barbarie umana della condanna ultima (sulle orme dell’illuminato Cesare Beccaria: “Dei delitti e delle pene”) e corrosivo perché smantellava argutamente la disumanità della burocrazia e della logica del sistema giudiziario dell’epoca.
La Compagnia Avamposto Teatro si cimenta con questo testo, proponendone una versione punk. Il suo protagonista veste alla foggia del fu Joey Ramone (giubbino di pelle nera, jeans strappati e anfibi pesanti) e accoglie il pubblico indossando il cappuccio del boia; poi giunge e girovaga tra gli astanti, scegliendo dieci persone a cui consegna un cappuccio d’aguzzino. Le porta sul palco e le fa sedere su delle sedie disposte a ferro di cavallo. Si configura così un ristretto spazio scenico, delimitato pure da uno scheletro cubico di luci al neon. Via il cappuccio; inizia così il monologo di Orazio Cerino. Tutti i personaggi sono “suoi”, in un’alternanza asimmetrica di urla disperate e rabbiose - amplificate da un microfono - e passi più sommessi e ragionati: a prevalere è l’isteria. Qua e là fa intervenire i dieci prescelti, facendogli leggere da un taccuino lapidarie frasi come “condannato a morte” e, infine, facendogli vestire il nero cappuccio, (tutti vittime e carnefici?) prima che la base cubica superiore, con un brillante espediente, precipiti come una ghigliottina.
A onor del vero l’operazione risulta tanto coraggiosa quanto opinabile. Che la pena di morte sia tutt’oggi un argomento su cui riflettere non v’è dubbio, come non v’è dubbio che la riflessione di Hugo, in gran parte, sia ancora pregnante. Ma, in conclusione, sorgono spontanei alcuni quesiti: confrontarsi con l’imponenza del letterato francese riducendolo per lunghi tratti all’isterismo non è un poco deviante? Farne una versione punk, con testo ottocentesco, non pare un’idea alquanto bizzarra (tra l’altro qualche “vero” adepto del punk potrebbe avere da ridire nel vedere tale cultura resa, almeno qui, nello stereotipo dell’abbigliamento trasgressivo e dei toni sopra le righe)? Basta far partecipare attivamente parte del pubblico (un escamotage – mi permetto - troppo abusato dal teatro odierno), per rendere allettante e coinvolgente uno spettacolo? È più stimolante continuare a trattare temi sociali aggrappandosi a visioni del tempo che fu, seppur geniali come quella di Hugo, o sarebbe più stuzzicante azzardare nuove proposte più contigue al presente?

Mirko Vitali 22/06/2015

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