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“Come stanno le cose. Il mio Lucrezio, la mia Venere” di Piergiorgio Odifreddi in prima nazionale al Teatro Vittoria di Roma

A Tito Lucrezio Caro è dedicato il liceo che ho frequentato, oramai, più di dieci anni fa. Come accade a molti, degli anni da liceale non ho un ricordo sfavillante e ammetto che trovare di fronte al Teatro Vittoria una scolaresca in attesa, come me, di assistere alla Prima Nazionale di “Come stanno le cose. Il mio Lucrezio, la mia Venere”, di e con Piergiorgio Odifreddi, mi ha riportata in quel tempo e luogo in cui al nome del grande poeta associavo i pesanti fardelli dell’adolescenza.
La vita, si sa, è una continua sorpresa, e proprio nella giornata mondiale del Pi greco ho scoperto più di una ragione per andar fiera di aver studiato nell’istituto che porta il nome di Lucrezio.
Il matematico, logico e saggista italiano, Piergiorgio Odifreddi, con l’ironia che lo contraddistingue, accompagna lo spettatore alla scoperta dello straordinario ingegno di un uomo quasi leggendario, che con la sua opera “De rerum natura”, ha ispirato intellettuali, scienziati e artisti di ogni epoca come Virgilio, Ovidio, Cicerone, Dante, Botticelli, Diderot, Lavoisier, Darwin, Leopardi, fino a Calvino.
Scritto nel I secolo a.C., perduto e poi ritrovato in un monastero a nord della Germania da Poggio Bracciolini nel 1419, “De rerum natura” è un inestimabile, sorprendente e quasi inconsapevole testo scientifico, in cui Lucrezio anticipa molte verità che verranno teorizzate e riconosciute solo nel XX secolo. Nei tre volumi, di due tomi ciascuno, che compongono l’intera opera, al di là delle grandi intuizioni sulla teoria atomica, sui caratteri ereditari recessivi, sui buchi neri, sul cinema o sulle modalità di contagio di alcune pericolose malattie, ciò che traspare è il carattere di questo misterioso letterato, sulla cui identità ancora oggi non si ha certezza. Deista, anticlericale, epicureo, materialista al limite del cinismo, Lucrezio scrive con la veemenza di chi cerca una ragione alla sua stessa vita, osservando con indomabile curiosità tutte quelle cause generate dall’incontrollabile forza che egli stesso battezza con il nome di Natura. Una personalità tenace, così vicina al reale da non tollerare la paura comune dello scorrere del tempo o le perplessità di ciò che ci aspetta dopo la morte; Lucrezio vive nel suo presente con la ferrea convinzione che la vita sia solo una e che valga la pena di dedicarla alla conoscenza.
In “Come stanno le cose. Il mio Lucrezio, la mia Venere” Piergiorgio Odifreddi propone le riflessioni già presenti nell’omonimo libro edito da Rizzoli nel 2013, coinvolgendo una sala gremita in riflessioni apparentemente lontane ma, in verità, estremamente contemporanee con lo stile chiaro, avvincente ed esaustivo, tipico di un grande intellettuale.
La lezione spettacolo è suddivisa in tre “atti”, ognuno anticipato da brani tratti da “De rerum natura”, interpretati con passionale trasporto da Irene Ivaldi e accompagnati dalle note del violoncello di Lamberto Curtoni, che sembra seguire il respiro di una brezza primaverile, prima dolce e piacevole, poi impetuosa profezia di tempesta, brillante e oscura come la mente del sagace poeta.

Giada Marcon 17/03/16

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