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Come i criceti in gabbia: “The Carnage” attualizzato di Massimiliano Caprara al Teatro Orologio

In “The Carnage” le metaforiche gabbie sociali sono palesate sin da subito e delimitano la scena. Un salotto, simbolo ed emblema della criticata borghesia, e due coppie che s’incontrano per una cena. Ad accoglierli con tutti gli onori di casa una “donna perfetta” (Giada Prandi), che con posture ingessate e sorrisi fulminei ritrae la sua posizione sociale ed economica, affiancata dal marito, un autarchico bancario (Michele Bevilacqua), capace di essere introspettivo e filosofico. Agli antipodi la seconda coppia, lui è un tassista (Massimiliano Caprara), lei un’artista (Veronica Milaneschi), trasferitisi da poco e sui quali ricadono i sospetti dei vicini, che li hanno invitati a casa solo per indagare sulla loro vita, parlare d’infiltrazioni d’acqua e del loro bambino troppo irrequieto.
La conversazione sembra non rompere il ghiaccio tra le due coppie, anzi la tensione sale sempre di più, colpa delle domande insinuatrici, della volontà di mostrare una perfezione che si sgretola sotto i colpi bassi, della ripetitività e dell’ossessività della bionda padrona di casa, fino a quando l’artista, decide di rompere il velo dell’ipocrisia eruttando tutti i difetti delle loro conversazioni e degli interlocutori. Una verità che non placa, ma che infervora gli animi dei presenti, che a poco a poco diventano quasi delle vittime della sua volontà di smascheramento. Le parole, che fino a quel momento avevano riempito i silenzi imbarazzanti tra due coppie di conoscenti, ed erano state sfruttate “così come conviene” durante una cena tra conoscenti, da vuote diventano piene, si addensano di frustrazione e senso di sconfitta che coinvolgono tutti. La lama più tagliente resta sempre l’ironia, che disarma gli interlocutori, come quando si propone di idolatrare il dio criceto, con un ribaltamento dei ruoli: sono gli uomini a essere in gabbia, osservati nella loro ripetitività dall’animale. Forse è lui il Dio del massacro (titolo dell’opera della drammaturga francese Yasmina Reza da cui è tratto lo spettacolo) a cui tutti sono devoti.
Non a caso la gabbia è il regalo che la coppia vuole donare al figlio irrequieto dei vicini, come strumento di addomesticamento, ma anche come microcosmo da poter osservare attentamente. Il salotto-gabbia è il luogo dove si consuma la carneficina della morale, è molto forte il racconto della donna che per sopravvivere deve restare impassibile di fronte ai clienti indebitati che minacciano di ucciderci. Un problema con cui devono fare i conti le coscienze, ma di chi? C’è sempre un dio della carneficina nel nome del quale si immolano i rapporti umani, la compassione e la comprensione. Proprio in questi giorni tutti i quotidiani pubblicano la lettera dell’impiegato di banca che ha visto per l’ultima volta il settantenne che si è suicidato perché aveva perso tutto, dopo il fallimento di una banca.
Il testo di Massimiliano Caprara, attualizza l’originale da cui è tratto anche il film di Roman Polansky, e lo cala nella realtà di questi anni, la crisi economica ha investito i personaggi e i luoghi che abitano. L’instabilità dell’uomo che si cela dietro uno status con tutti i suoi cliché, a cui tutti ambiscono, è resa ancora più precaria dalla perdita del lavoro e della posizione conquistata e mantenuta, precedentemente, con le unghie e con i denti. I personaggi sono trincerati nella stanza, chiusa a chiave, e non possono o non vogliono mettere fine a quei discorsi, forse non gli resta altro che chiudersi nel proprio salotto e continuare a fingere che tutto va bene, tanto la cena occitana ordinata è arrivata.

Gerarda Pinto 15/12/2015