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A Colpi di scena il meglio del Teatro ragazzi in circolazione

FAENZA – L'Accademia non si è affatto Perduta o almeno, certamente se lo è stata si è ampiamente ritrovata. “Colpi di Scena” è un format consolidato nel teatro per le giovani generazioni e da biennale lo scorso anno si è trasformato in annuale alternando la visione di spettacoli per adulti, negli anni dispari (la prossima edizione sarà a settembre '23), a quelli per ragazzi, negli anni pari. E i colpi teatrali dell'AP (in collaborazione con ATER) sono stati ben assestati anche quest'anno, dislocati tra Faenza e Forlì tra i tanti teatri che compongono la costellazione degli spazi romagnoli: il San Luigi e il Testori, Il Piccolo, il Diego Fabbri e il Felix Guattari tutti a Forlì, la Casa del Teatro e il Masini a Faenza. Un solido spargimento teatrale che fa storia e tradizione come comunità e passione. In Romagna non manca mai la voglia di allegria, sorrisi e piadina. In quattro giorni una piccola, faticosa ma soddisfacente, maratona, con diciotto piece e otto debutti, colma di visioni e approdi, di parole e colori. Sale calde, temperature hot.

Un giovane performer che riprende l'antica tradizione, quasi scomparsa, del ventriloquo ne “Il Gran Ventriloquini” della compagnia Madame Rebiné: Max Pederzoli alto, dinoccolato Il Gran ventriloquini.jpgin giallo, a metà strada tra Adrien Brody e Adam Driver, immerso in una pseudo situazione circense. Si sente che sono freschi, che hanno sensibilità ed entusiasmo. E' la classica, ma sempre affascinante storia, degli oggetti che si ribellano al suo creatore, del figlio che deve “uccidere” il padre per staccarsi dal cordone ombelicale e camminare con le proprie gambe. Il tagliare i fili della marionetta, Pinocchio e Frankenstein. Qui il nostro mago discute e litiga con “Klaus il Clown” che se ne sta dentro una botola e non ne vuol sentire di uscire per esibirsi ed anzi entra in sciopero. Intanto il mago, per riempire l'attesa, mitraglia le sue barzellette: “Perché le renne vivono in Antartide? Perché lì c'è la neve perenne”. Altro personaggio che si ribella a colui che gli presta la voce non riconoscendone l'autorità è il calzino a mano, una sorta di serpente con la lisca. Klaus e Calzino si rifiutano di dire le barzellette del ventriloquo considerandole squallide. A bocca chiusa rappa e scretcha, suona la base di Billie Jean, parla fuori sincrono, parla con l'eco. E' la lotta infinita tra l'uomo e gli oggetti inanimati che però un'anima ce l'hanno eccome. Intanto: “Vorrei una camicia” “La taglia?” “No, la porto via intera”. Questo è un piccolo circo di periferia “che cade a pezzi”, le cose si rompono, le luci si spengono, i pannelli cadono, le tende si staccano. Il concetto del padre-padrone non regge più e gli oggetti di lavoro si sono fatti consapevoli e vogliono ottenere la libertà per finalmente formare un trio di artisti con pari dignità. “Cosa ordina un riccio al bar? Una birra alla spina”.

Dai Cipì.jpgcolori al buio tetro degli Zaches che sono sempre cupi e neri, certo raffinati, fini tecnicamente e formalmente eleganti ma anche molto foschi e scuri, impaurenti, intimorenti. Stavolta affrontano la fiaba di “Cipì” e fin dalla prima bellissima scena, quella della tempesta, si ha la sensazione di uno spettacolo noir con i fogli che svolazzano addosso al Maestro in maniera aggressiva quasi cani alla catena che attaccano. La musica coinvolgente e avvolgente crea una sensazione di pathos e ansia prima di giungere al nodo della storia, il nostro Cipì, uccellino curioso che vuole andare a scoprire il mondo mentre il Nonno-Maestro non vuole lasciarlo libero perché là fuori, dice, è molto pericoloso. Come quei genitori che fanno crescere i figli sotto una campana di vetro. E questa versione è anche molto cruda con l'arrivo dei cacciatori e della falciatrice. Una favola ambientalista alla quale avrebbe giovato un po' di leggerezza, un pizzico di allegria e una lievità maggiore.

Abbiamo avuto Ferdinando.jpgriserve, di altro tipo però, anche per quanto riguarda “Ferdinando, il toro” con Danilo Conti impegnato in una storia atavica di pacifismo raccontata attraverso grandi cartonati non così efficaci. Mancava di ritmo e i pannelli e la grande testa di toro come quella da torero, pur nella bellezza dell'oggetto artigianale, non sono riusciti a far decollare la storia che si è appiattita diventando monocorde, senza slancio. Una favola sulla diversità ma dove al suo interno oggi possiamo leggere anche una metafora tra il torero-Putin e il toro-l'Ucraina. Sappiamo chi vince nella realtà ma sappiamo anche chi vince nelle fiabe.

Dire che “CideCide.jpeg di Maurizio Bercini (prod. Teatro delle Briciole Solares Fondazione delle Arti), colonna storica del teatro per i ragazzi e dei burattini, sarebbe limitativo. Bercini ha toccato, con semplicità, le corde dell'emozione, della poesia, del pathos, della nostalgia, del ricordo, della commozione. Cide è Alcide Cervi, al quale i fascisti hanno ucciso sette figli. Una roba da uccidere un toro, invece gli oggetti che compongono questo mosaico sulla scena stanno a testimoniare che la verità non si ferma e che la memoria rende gli uomini liberi. Oggetti carichi di significati, doni di chi ha visto in Alcide la costanza e la forza di non abbattersi, di non mollare, di non cedere alle sventure e alle ingiustizie della vita che gli aveva tolto tutto. E Bercini fa sua quella rabbia atavica, è un fuoco, si percepisce che prova ancora quello sdegno e sgomento ogni volta che la rievoca, non si risparmia, è generoso tocca la Bibbia e il Mappamondo, le Bocce e la Falce, unendo i vari punti di questa sorta di cartina sensoriale, di questo quadro che a poco a poco si dipana nel racconto coinvolgendo la platea, andando sempre più a fondo. Un teatro d'oggetti antico e sempre verde, tattile, concreto, materiale, ricco di onestà, un teatro formativo, pedagogico ma mai pedante, per i bambini di ogni età: “Faccio teatro da quando ho diciassette anni, sono passato dai soldatini ai burattini. Non sono mai cresciuto”, dice. Una fortuna. Assolutamente da vedere: applausi di vicinanza e occhi lucidi; la verità non vincerà sempre ma esistono degli eroi pronti a raccontarla.

Il tema degli hikikomori sembra essere un problema molto sentito tra i giovani. “C'è nessuno” indaga, attraverso l'uso di video e chat, il complesso meccanismo sociale e psicologico che si nasconde dietro i nostri portatili, i nostri smartphone, questa possibilità di poter raggiungere tutti che ci appaga e soddisfa e non ci lascia la curiosità dell'incontro fisico. La compagnia Mandara Ke mette in scena due giovani, uno sul palco e l'altro online a distanza ed è al tempo stesso divertente e tenero, preoccupante e allarmante il rapporto degli adolescenti con le tecnologie da una parte, con gli altri esseri umani dall'altra. Una fase questa acuita dalla pandemia e dalla forzata separazione fisica dei ragazzi che si sono presto abituati a questa dinamica dell'esserci senza esserci in un mondo virtuale fatto di videogiochi e chat tutto irreale, volatile, fumoso. Le chat senza il vis a vis non può che portare ad un game over fatto di sempre più persone isolate, lontane ma con l'intima convinzione di essere felici perché dal divano o dalla cameretta di casa possono, fintamente, raggiungere e fare tutto. Fanno paura le frasi: “Non vorrei crescere” di ventenni senza speranza, preoccupati costantemente del domani, affidandosi ai guru del web, ai tutorial che portano in dono soluzioni (come il Gatto e la Volpe): “Mi avete illuso che sono libero e che posso fare tutto quello che voglio”.

La pulizia dei tratti e la raffinatezza delle scene ben costruite di “Cassandra”, del Teatro Gioco Vita (50 anni di attività, da Piacenza), ci fanno sobbalzare insieme a temi ben architettati ed a Cassandra.jpgtesi di fondo condivisibili, precise, lucide e puntuali. In una sorta di braciere greco due ancelle performano il loro rituale di ombre da rimanerne esterrefatti. La modalità registica invece di modulare le ombre nel retro del telo e successivamente arrivare sul boccascena a spiegarci, didascalicamente, il quadro appena visto l'abbiamo trovato molto scolastico. Ma il tema è veramente importante: qui Cassandra, che parla ma non viene creduta, è una Greta dei giorni nostri che ci informa e allerta sui pericoli del cambiamento climatico ma ai quali non crediamo per ignoranza, disinformazione ad hoc, paura del futuro e di prendere delle decisioni che in qualche modo possano cambiare, peggiorandola, la nostra piccola esistenza. Abbiamo perso l'età dell'innocenza e il futuro dell'uomo è segnato. Si sentono le sirene di nuovi lockdown, le temperature che aumentano vertiginosamente portando la Terra al collasso, le coltivazioni, le città invivibili, l'emergenza idrica, l'inquinamento, gli incendi. “Cassandra” è uno schiaffo apocalittico con la tropicalizzazione e la saharizzazione del Globo. Lo spettacolo per noi si conclude (troppi finali uno dopo l'altro) con la potente immagine di migranti che nella fuliggine di un deserto camminano verso non si sa quale meta. Da lì in avanti è un cercare di dire le stesse cose precedentemente esposte con altri mezzi rendendo il tutto pesante e inutilmente sottolineante, dalle immagini di cortei e proteste (quando il teatro insegue la tv o il cinema inevitabilmente soccombe). Chi dice la verità è un nemico del Popolo.

Dall'incubo al sogno con “I sognatori” (Teatro delle Briciole Solares) che fin da subito ci ricorda e ci riporta alle suggestioni felliniane de “La voce della Luna”. In una sortai sognatori.jpeg di futuro apocalittico, certamente post atomico, un futuro prossimo possibile, si incrociano Gigante e Cico e Pallina (due danzatori), una sgangherata compagnia di giro, cialtrona e vagamente circense. Si vorrebbe far ricorso alla visionarietà come all'immaginazione ma il testo pecca di voler essere filosofeggiante e poetico senza riuscire nell'intento, cadendo in scontatezze e risultando leggermente superficiale. Toccando Fellini è facile cadere nello stereotipo, nella forma più che nella profondità: manca della verità teatrale.

Conosciamo Michele Di Giacomo da anni avendolo visto, e apprezzato, in molti spettacoli di prosa per adulti. Anche qui tiene la barra dritta, tiene il pubblico, incuriosisce con questa narrazione supportata dai video sul fondale che cambiano ambientazione, un video mapping che cambia forma risultando un vero e proprio coprotagonista con il quale interagire. “Sono solo favole” (Alchemico Tre) inizia kafkiano e prosegue sul filo, mai banale, della ricerca della memoria, di un passato, nell'intreccio tra la realtà e l'immaginazione. Un ragazzo che ha perduto la madre si ritrova nella casa d'infanzia e, attraverso un gioco-caccia al tesoro organizzaSono solo favole.jpgta proprio dalla genitrice, riesce a risalire a chi è, a scoprire lati importanti del suo carattere, a ritrovare anche se parzialmente la mamma, a capire meglio il suo passato e proiettarsi con più fiducia, ora che ha sconfitto i demoni dell'infanzia, verso il domani. I ricordi fanno paura perché spesso fanno male, non possono essere cambiati. In questa casa virtuale sullo schermo, il ragazzo si fa detective in un giallo a caccia di indizi, una sorta di Alice dentro un mondo parallelo che sono le storie della madre scrittrice (tra la Rowling e Agatha Christie) i cui personaggi si materializzano sullo schermo. La mamma sognatrice e il figlio concreto che alla fine imparerà che le favole, la letteratura, l'arte in generale possono cambiare e migliorare la realtà: “Le fiabe non raccontano che esistono i draghi ma che possono essere sconfitti”. Interessante anche la parte interattiva con il pubblico.

E finiamo con Il messaggero delle stelle.jpgil miglior spettacolo visto in questa edizione di “Colpi di scena”: “Il messaggero delle stelle”, scritto mirabilmente da Francesco Niccolini, con il funambolico Flavio Albanese sul palco abbigliato tra cavaliere errante e astronauta. E' Astolfo paladino dalla pronuncia inglesizzata che, con il suo ippogrifo, ha raggiunto la Luna per recuperare il senno di Orlando. Ma è qui che esplode tutta l'arte di Albanese, vero mattatore, che ci delizia ed esalta la scrittura di Niccolini, tutta in rima, quando Astolfo incontra filosofi e scienziati in questo limbo nell'Aldilà: Galileo con cadenza toscana, Giordano Bruno napoletano, e poi Tolomeo e Copernico lanciandosi in dialoghi surreali e patafisici sulla conoscenza, l'Universo, l'esistenza, Dio, i corpi celesti. Albanese, davvero un grande attore, riesce a rendere l'astronomia leggibile e semplice, esaltando l'ironia felice e profonda di Niccolini (suoi cavalli di battaglia sia i Paladini che Galileo). Da veri, sentiti, pieni applausi.

Tommaso Chimenti 07/07/2022

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