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"Ci vediamo all’alba": ritrovarsi nei sentimenti, oltre la morte

Si percorre un percorso sul concetto di perdita, sul cosa voglia dire essere privati all’improvviso della persona amata, e sul dolore che ne consegue, in “Ci vediamo all’alba”, intenso spettacolo di Zinnie Harris con la regia di Silvio Peroni.
In una ideale, utopica, immaginaria isola in mezzo al mare, su una desolata spiaggia, si ritrovano Robyn e Hellen: sono sopravvissute ad un incidente in mare, sono sconvolte, provate, impaurite. Naufraghe in balia del flusso dei loro pensieri, provano a ricostruire la dinamica dell’accaduto e, in un certo senso, se stesse, affidandosi alla memoria muscolare, ai ricordi del corpo.
Non capiscono dove si trovano, dove sono, e questa mancanza di localizzazione geografica implica un cambiamento, una metamorfosi, che sta avvenendo o è già avvenuta. Vogliono con tutte le loro forze tornare indietro, tornare a casa, abbracciare il cane, abitare la loro cucina, i loro gesti quotidiani. È come se si trovassero in una dimensione parallela, in una sorta di realtà onirica in cui man mano le immagini offuscate si schiariscono, i segnali diventano più chiari. In questo tempo sospeso, in questo luogo imprecisato, una falena si fa presagio e metafora di una drammatica verità: solo Robyn è sopravvissuta e ha espresso il desiderio di poter trascorrere un giorno con la sua amata.
La spiaggia è dunque un rifugio dove rincontrarsi un’ultima volta, per ricordare la loro quotidianità, i loro caratteri differenti, i loro momenti felici, il loro inevitabile destino.
È un luogo dell’anima, un angolo della mente della donna sopravvissuta in cui rievocare la sua compagna, abbracciarla ancora. ci vediamo all alba 20191119112229
“Ci vediamo all’alba” è una fiaba amara e dolorosa sul vuoto che provoca un’assenza improvvisa e prematura, sulla lacerazione interiore che consuma, fa perdere il senno, non fa dormire, respirare. È impensabile passare dal noi all’io, dall’essere in due a ritrovarsi soli tra quelle cose, quei dettagli da sempre condivisi, privati della propria metà, e sentirsi in colpa, responsabili in qualche modo. Ci sia appiglia ai “se”, alle possibili variazioni della sorte, e a un ultimo desiderio, per stringersi e riconoscersi, illudersi e forse elaborare il lutto, superarlo.
Una drammatica drammaturgia dei sentimenti che, richiamando e rifacendosi al mito di Orfeo ed Euridice, si fa attuale ed eterna, universale, valida per due uomini, due donne, un uomo e una donna.
Sara Putignano e Francesca Ciocchetti tessono una sinfonia a due voci che si svela pian piano, ed esplode in climax poetico e disperato. Dotate di una forte presenza scenica e ed emotiva, rendono concreto l’astratto, tangibili i sentimenti, visibili gli stati d’animo. Incisive nei dialoghi, commuoventi nei monologhi, costruiscono l’impalcatura della loro relazione e delle loro personalità, dirette magistralmente da Silvio Peroni che, con il suo tratto distintivo, crea osmosi tra testo e attore, trasforma le parole in immagini, e alternando diversi registri, dal lirico al drammatico, dalla commedia alle atmosfere intriganti e misteriose, a tratti utopiche, echi letterari e cinematografici, delinea un affresco emotivo sensibile ed empatico in cui ognuno può occupare un posto e riconoscersi in quella sofferenza, in quelle mancanze che creano vuoti incolmabili, in quell’amore che sa di eterno e supera la morte.
Uno spettacolo che mette in luce paure, dolori, paesaggi del cuore e della mente in cui rifugiarsi, rincontrarsi all’alba e rimanere lì per l’eternità.

Maresa Palmacci 27-11-2019

 

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