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Ci scusiamo per il disagio: un piccolo mondo sommerso tra i binari della vita

Visto a Pistoia il 16 luglio 2015.

L’odore intorno sa di olio e motore. Due vagoni stringono il campo visivo e puntano il fuoco verso la locomotiva che sembra arrivare dritta in faccia alla platea. La scena è tutta qui, nell’Area Deposito Rotabili Storici di Pistoia, dove paglia, morchia e calore trasformano questo cimitero di reperti in un’arena, un far west. E dal teatro alla vita, in questo caso, il passo è breve.
“Ci scusiamo per il disagio” è il frutto dell’analisi sociale e antropologica (un lavoro “etnografico sul campo”) portata avanti da Gli Omini tra aprile e maggio scorso nella stazione di Pistoia, la prima tappa e partenza del nuovo Progetto triennale dedicato a un treno da mantenere in vita e del suo territorio mobile (http://www.gliomini.it/proge.asp).
Qui la partenza diventa necessità. I tre sulla scena (Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi, Luca Zacchini; più Giulia Zacchini alla drammaturgia) portano il teatro alle persone, solo dopo aver estrapolato e spremuto il teatro dalle persone. L’ultimo spettacolo - prodotto dall’Associazione Teatrale Pistoiese – nasce dai racconti, dai volti, dalle storie, dalle confessioni e dai ricordi di chi attende, di chi resta, di chi perde, un treno o nella vita.
La stazione è un terreno melmoso, sabbie mobili per l’istinto ridotto all’osso di chi vive ai margini, specchio sporco ma fedele di un’umanità disgregata. Qui si mescolano, ma non si contaminano perché di salvezza non c’è nemmeno l’ombra, i disagi interiori dei personaggi che abitano questi vagoni lerci, tra rotaie, vetri opachi e gli occhi spalancati della locomotiva: giovani senza speranze, famiglie allo sbando, ubriaconi, vecchi omosessuali in cerca di un altro brivido, un altro incontro, signore attempate logorroiche in cerca di redenzione. Alcuni attendono ore, sulle banchine come sul convoglio, altri cercano soltanto un nuovo sguardo; tutti stanno, a contare i treni persi, così come le occasioni e i sogni, immobilizzati, dipendenti da un’entità altra, esterna – che siano le ferrovie, come il super ego abbandonato e mai avuto – che accarezza e bastona. Da un altoparlante, infatti, la tipica voce robotica maschile da stazione irrompe nel dialogo o ne entra a far parte. È una guida, ma anche il segno di una schiavitù, una resa incondizionata al degrado.
“Ci scusiamo per il disagio” che sia esso un ritardo, un’avaria, la cancellazione di una tratta, la sosta per ore su un binario dimenticato, ma non ancora morto. Gli Omini partono da Pistoia ma guardano all’Italia, a una quotidianità esasperata che non trova soluzione, a un decadimento inevitabile e sotto gli occhi di tutti (i disservizi dei mezzi pubblici, tutti insieme e quasi contemporaneamente, sono diventati il fiore all’occhiello dell’Italia attuale). Parlano di un malessere che parte dall’esterno e logora l’interno e viceversa, un circolo vizioso che diventa sintomo e scusante (ci scusiamo, perché altro non sappiamo fare) a cui sembra non esserci rimedio: a rendercelo “reale”, i personaggi che, sul finale, si scatenano sulle note di “Shock in my town” di Battiato all’interno delle carrozze ferme, hanno delle grandi maschere con teste di piccione a coprire il volto, animali di stazione per eccellenza, ma anche animali pestilenziali, portatori di malattie.
Malinconico e disperato, lo spettacolo non lascia speranza, né concede scampo a ognuno di noi, pendolari almeno una volta nella vita, ma il Progetto T guarda in alto e lontano: la riqualificazione di una memoria, di un territorio e delle persone che lo vivono, portando il teatro sul treno in tutti i sensi possibili. Qui sta la lungimiranza salvifica degli Omini (e su questo hanno basato tutta la loro drammaturgia), trasformare il viaggio in cultura e il simbolo di una lentezza quasi antica – il treno, appunto, e i binari in salita – in un antidoto alla velocità esistenziale, alla bulimia esperienziale in cui tutti, prima o poi, cadiamo.

http://www.gliomini.it/

Foto: Serena Gallorini

Giulia Focardi 12/08/2015

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