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Checco Zalone: amore e stereotipi per ridere di noi

FIRENZE – O lo ami o lo odi. E se lo odi non affolli i palazzetti da tutto esaurito. E se lo ami allora applaudi e ridi e aspetti la battuta triviale e tutto quel bagaglio di politicamente scorretto (ampiamente sdoganato e superato) che è un respiro, finalmente un lasciarsi andare dopo i mille divieti, le parole boldriniane da non usare, quelle al femminile, quelle con l'asterisco. Certo il mondo è cambiato ma la sana ironia non morirà mai, basta il buon senso per capire che Checco Zalone è un fenomeno proprio perché schietto, proprio perché riesce (come fu per Albanese, come in parte lo è per Pio e Amedeo) ad incarnare lo spirito dell'italiano medio, la TRUE-1200X675-5-675x370.jpegpancia del Paese più vera ma non per questo la più bassa, quella che senza tanti fronzoli lessicali o concettuali vive e lascia vivere senza filtri (con qualche pregiudizio forse sì) e allo stesso tempo senza cattiveria, al massimo con un tocco di malizia, quel pepe frizzantino che sottolinea le peculiarità altrui (non i difetti, non c'è mai giudizio) e allo stesso modo accetta la presa in giro. Come lo stesso Zalone confessa, nelle sue gag e sketch e canzoni c'è un mix debordante di catcalling, bodyshaming e battute sul gender che lo rendono da una parte polemicamente attaccabile (Tiziano Ferro e Giuliano dei Negramaro si arrabbiarono dopo una sua parodia ai loro danni), dall'altra appunto quella liberazione, controllata e tra parentesi, un momento anche di riflessione sui nostri tempi, sul concetto di libero pensiero, di libertà d'espressione.

Sono qui a Firenze perché città dei Medici, e io mi chiamo così da borghese, e della lingua volgare, e io sono entrambi”. Un bell'impianto con una band affiatata, una cantante illuminata, e una scena che ricorda, tra il fondale e la cattedra, un'aula scolastica con il professor Checco che ci instrada tra tutte le varie forme e derive dell'Amore. Zalone ti trascina, con dolcezza e con quelle battute che sembrano semplici ma hanno dietro una grande costruzione drammaturgica, sul piano del trash (che, inutile nasconderci, piace a tutti perché è nostalgico e consolatorio, è colorato e spensierato), del kitsch che tutti allontaniamo ma che poi una parte ima di noi venera e cerca in un gioco (e giogo) continuo di attrazione irrefrenabile e repulsione cosmica. Ecco allora i Ricchi e Poveri che fanno da colonna sonora ai discorsi vaneggianti di Putin e Cutugno e Celentano, Fausto Leali (bellissima “A chi” che qui diventa “A Kiev” per denunciare l'indignazione social senza però nella vita reale muovere un dito) . Con sarcasmo, sagacia, intelligenza finissima scattano applausi non soltanto convinti ma partecipi come se finalmente la platea avesse trovato qualcuno che parla la propria lingua. “Se si candidasse alle elezioni vincerebbe a mani basse”, dice una vicina di posto (nel bel Palazzo Wanny di Firenze). Vero, anzi verissimo, altro che Beppe Grillo.

Ogni capitolo ovviamente ha a che fare con l'Amore partendo proprio dal titolo dello show “Amore + Iva”: “L'amore è come l'Iva, è una partita di giro”. Passando ai diritti civili: “LGBT+ vuol dire che puoi avere tutte le checco-zalone-1068x601.jpgsessualità che vuoi con un solo account”. Non c'è acredine in questo popolo medio-alto contro alcune istanze dei nostri tempi contemporanei, non c'è razzismo né omofobia, forse questa è un'esorcizzazione per certificare il cambiamento, per sottolineare il mondo precedente da quello del futuro. Infatti Zalone, attraverso i suoi personaggi, si capisce sempre decisamente da che parte sta: dalla parte di omosessuali (anche se sono il primo tema delle sue frecciate) e migranti. E' come se ribaltasse la questione, come se riuscisse a sottolineare e intercettare un sentimento che vive e aleggia nella nostra società e lo portasse sul palco non per ridere di alcune categorie ma per sorridere di chi ancora propone certi comportamenti. Infatti il piccolo balilla all'orfanotrofio che deve scegliere tra la famiglia tradizionale, ottusa, misera, non acculturata, e la famiglia arcobaleno alla fine propenderà verso quella con due genitori dello stesso sesso.checco-zalone-1280x720.jpg

E quindi i capitoli “L'Amore arricchisce”, ma anche “Amore è follower” perché chi mi ama mi segua con il trapper con poderoso autotune Ragady, elettrizzante la sua “Pocoricco” con passaggi autoriali niente male tra le pieghe delle rime, “L'Amore si evolve”, “quando il maschio cresce la donna si deteriora”, “Amore è grande musica” con la parodia di Riccardo Muti che suona la sigla di Pierino (senza il lupo) di Alvaro Vitali, “Amore e integrazione” con la trasformazione di alcune hit del nostro patrimonio musicale: “Fatti mandare dall'Imam a prendere curcuma” emblematica su tutti. Non possono mancare né “Immigrato” né “La Vacinada”, “Brividi” (trasformata in “Emorroidi”) e neanche “Angela”. Commovente è invece “Vincenzina” di Jannacci, appassionante è il suo Vasco Rossi dedito ormai più che alla vita spericolata a leggere i bugiardini dei vari integratori e ad analizzare le analisi del sangue, l'imitazione di Bocelli, la favola calabrese sempre a tema trans (suo cavallo di battaglia). Checco uno di noi.

Tommaso Chimenti 10/11/2022

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