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“Centoventisei” di Fava-Gionfrida: tre personaggi dietro l'attentato di Borsellino

CATANIA – A pensarci bene, i delitti italiani del Dopoguerra sono sempre collegabili ad una macchina, un'automobile, un'autovettura. Ecco che ci viene in soccorso la R4 rossa dove fu ritrovato il corpo di Aldo Moro, l'Alfa Romeo Giulia di Pasolini con la quale fu ucciso ad Ostia, il furgone bianco dell'attentato ai Geogofili, la 127 bianca dove furono rinvenute Donatella e Rosaria dopo il massacro del Circeo, i delitti dei fratelli Savi della Uno Bianca, la Mehari verde di Giancarlo Siani ucciso al Vomero dalla camorra, le auto fatte saltare nell'attentato di Capaci, fino alla Fiat 126 imbottita con 90 candelotti di tritolo per l'omicidio del giudice Borsellino in via D'Amelio. E' quest'ultimo caso il nodo letterario, scritto da Claudio Fava e Ezio Abbate, che si dipana in “CentoventiseiCicirello_Coco_Centoventisei©-rosellina-garbo.jpg(prod. Teatro Biondo di Palermo e Teatro Stabile di Catania) per la regia di Livia Gionfrida, “scaldatiana” convinta, premio ANCT, portata alla corte catanese dall'ex direttrice Laura Sicignano, lavoro poi felicemente confermato dall'attuale direttore Luca De Fusco.

Tre Naike Anna Silipo_Centoventisei© rosellina garbo 2023 _GRG4633.jpgpersonaggi, (un bel cast che si muove all'unisono) moglie incinta, il marito sicario e un giovane scagnozzo, e sullo sfondo un'auto da rubare per farcirla dell'esplosivo che l'indomani sarebbe servito per uccidere Paolo Borsellino sotto casa della madre nel luglio '92, 57 giorni dopo la devastante strage allo svincolo per Isola delle Femmine dove persero la vita il giudice Falcone, la moglie e tre uomini della scorta. Del racconto di Fava la Gionfrida, con la sua classica opera metaforica di scavo e scandaglio, ne ha tratto una pièce evocativa, dall'immaginario “emmadantesco” per molti versi, dove sulle parole della storia, comunque presenti, è stato fatto un lavoro di ricerca, di compressione e di “crasi” emotiva cesellata in gesti sincopati e ripetuti e ritmati e mimati, adesso in piccole corse, in continui giri attorno ad un fulcro, come a prendersi senza trovarsi, come a fuggire da se stessi, scarnificando all'osso, arrivando a cogliere l'essenza non tanto della prosa quanto dell'intimità feroce e cruda della vicenda. Anche la scena vuota, e proprio perché sgombra ha potuto essere riempita da nuovi significati, è stata impreziosita da una portiera di una autovettura che penzola a dei ganci (come quarti di manzo dentro una macelleria...) in alto come mannaia, come accetta minatoria, come ghigliottina che si sarebbe da lì a poco abbattuta sulla Storia italiana, o come quei fotogrammi delle esplosioni nelle quali, en ralentì, si vedono vivisezionati pezzi metallici scoppiare e lanciarsi in ogni direzione, fermi nell'attimo della catapulta che porta con sé morte, strazio e dolore senza compassione.

E sono tre le storie, come i ruoli in campo che lottano si avvicinano e si respingono, che si affastellano e si arrampicano al fusto principale dell'auto rubata nella notte per preparareDavid Coco_Centoventisei© rosellina garbo (1).jpg l'attentato: il marito sicario (in blu) di un mandamento di Cosa Nostra, David Coco volto anche televisivo, che ha portato sostanza e quei chiaroscuri introspettivi essenziali e necessari, il “garzone di bottega” ragazzo che sta imparando l'arte criminale, Gabriele Cicirello (abiti colorati), in equilibrio leggero tra la scanzonatura e la delinquenza, che è nipote dell'ultimo eliminato per mano del killer, e la moglie del primo, Naike Anna Silipo (in rosa tenue) ago della bilancia carica di pathos tra i due uomini che si districa tra la rigidità del coniuge e la freschezza del giovane, che non riesce ad aver figli come contrappasso del “lavoro” del marito che toglie la vita ai “cristiani”. Anche i dettagli cromatici, nella loro semplicità, hanno la loro importanza, donando pennellate affrescate e nuovi spunti empatici. Vita e Morte come nella migliore tradizione del Mito in questa crudezza, visceralità di sentimenti, distonia e afasia dissacranti. Thanatos al quale hanno sottratto da molto tempo l'Eros (che forse la donna recupera nella liberazione del ballo), il fiore che non riesce a sbocciare nella placenta della donna, una pancia che perde figli invece di portarli alla luce, punita dagli Dei proprio perché il marito si sostituisce a loro tagliando il filo dell'esistenza prima che il tempo si sia compiuto.

Tommaso Chimenti 30/04/2023

foto: Rosellina Garbo

 

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