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Carne: battaglia all’ultimo colpo di seitan

“Cosa difficile concittadini miei discutere col ventre perché non ha orecchie”.
Così inizia una famosa orazione di Catone il Censore contro gli sprechi e il lusso della Roma Repubblicana. Oggi, nonostante la difficoltà dell’impresa, Fabio Massimo Franceschelli autore del testo “Carne” e gli interpreti Daniele Timpano e Elvira Frosini provano a parlare al sordo ventre di pubblico affamato.
Una coppia discute su cosa preparare da mangiare. Lei è vegana, lui onnivoro. La cena diventa un pretesto per analizzare il punto di vista di onnivori e vegani, le motivazioni che spingono gli uni e gli altri a scegliere una certa filosofia di vita che inevitabilmente riguarda anche ambiente e salute. Il rischio di cadere nello stereotipo sul fanatismo dei vegani e l’ottusità degli onnivori è molto alto data l’usura della tematica portata in scena, eppure Franceschelli da vita a uno scontro intelligente e dialettico nel corso del quale la coppia si polarizza in posizioni sempre più antitetiche per poi riconciliarsi in un’aspettata e discutibile conversione finale.
Quella della coppia Timpano-Frosini è una battaglia all’ultimo colpo di seitan e straccetti, in cui volano soia e polpette.
L’obiettivo è far riflettere lo spettatore sghignazzante non solo sulle argomentazioni pro e contro la filosofia vegana e onnivora, ma anche sulla loro mancanza di motivazioni.
Sono un uomo, sono bianco e voglio la carne, ne ho diritto. Non c’è argomentazione razionale che regga tale affermazione, eppure essa esprime la medesima logica attraverso il quale l’uomo per millenni ha sopraffatto la donna, le etnie ritenute inferiori e gli animali.
La liberazione dell’uomo in questo senso passa necessariamente per quella animale: nessun uomo o donna sarà libero finché continueranno a essere applicati il concetto di superiorità e d’inferiorità, che siano di sesso, razza, religione o specie.
E se Catone il Censore nel II secolo a.C. parlava alla morale degli uomini, oggi Daniele Timpano non si appella alla morale che è frutto della cultura dell’epoca di cui siamo figli, ma all’etica e alla sensibilità personale e soprattutto al giudizio critico. L’esercizio del diritto senza essere affiancato dal sentimento della compassione – da intendersi nell’accezione latina di soffrire insieme – è esclusivamente sterile scienza politica. Il diritto che non dà la mano all’umanità è spregevole burocrazia che riduce la vita in scartoffie da scrivania.
L’uomo moderno – figlio dell’Umanesimo – è al centro dell’universo e per la sua superiore centralità ha il grave dovere di agire secondo coscienza e di erigersi a Dio delle bestie per salvarle dall’olocausto quotidiano di una tradizione disumana.
L’uomo contemporaneo, cioè noi figli della rivoluzione industriale e del progresso tecnologico abbiamo il dovere di sostituire il paradigma antropocentrico con una visione metta al centro dell’universo la vita stessa, in ogni sua forma.
Esistite un’argomentazione valida a smentire il quinto comandamento, NON UCCIDERE?

Imma Amitrano 22/04/2016