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“Calmaria”: lo scirocco che impantana e la voglia di rivoluzione

LECCE – I testi dei Mana Chuma Teatro hanno forti radici nel loro territorio di riferimento, in questo Sud allargato ed espanso ed esploso, quell'ultimo spicchio di terra ferma appuntita che guarda la grande isola. Due angoli acuti che si scrutano, che traballano, che tremano di onde e sommovimenti tellurici. Le parole di Massimo Barilla (la regia è condivisa con l'altra anima del gruppo Salvatore Arena) sono pasta da sporcarsi le mani, modellarle anche se fa male, imbevute di suoni e atmosfere lontane e così visceralmente interiori e digerite. Come se, dentro ognuno di noi, vi fosse presente quel germe, quell'inizio, quella forma che è perennemente sostanza, quelle sillabe agguerrite di un passato brutale ma concreto, diretto, fermo, lancinante quanto sincero e violento. I loro spazi scenici, metaforici e fisici, sono chiusi e circoscritti, al limite del claustrofobico, al limite Calmaria - Marco Costantino 5.jpgdel beckettiano se non fosse per quella verità e crudezza dei temi sociali palpabili che al metafisico lasciano poco spazio e scampo. Non c'è salvezza, queste parole ti mettono con le spalle al muro, ti chiedono da che parte stai senza essere accusatorie, ma sono scelte di campo, faziose senza essere pretestuose né strumentali né ideologiche. E' la natura umana quello che più interessa Barilla e Arena, sono le relazioni, le tensioni, la pericolosità dell'abisso di ogni incontro, l'altro come fioritura ma anche come inciampo, incastro complicato in terre dove amicizie e fazioni determinano alleanze e conflitti. La linea è sottile tra abbraccio e faida (altro loro titolo del recente passato) e districarsi in questa fitta nebbia di divieti e veti, di rovi e roghi è difficile quanto impraticabile tendente all'insoddisfacente, all'immobilismo. Quello stallo gattopardesco che è l'ultima piece targata Mana Chuma, quella “Calmaria” che ha nelle sue radici etimologiche sì la calma ma più con l'accezione di “cullare” o ancora di “bonaccia”, quella sospensione quasi irreale che preannuncia qualcosa in arrivo. Quel tempo solido e compatto che sembra non passare mai perché vorremo cambiare, mutare ma ancora le condizioni non lo permettono, quello strato di noia, quell'impianto di attese perché non tutto dipende dalle nostre forze, quel passare lento sperando in una rivoluzione, in una trasformazione.

“Calmaria” è più che altro una speranza, un'idea di futuro, il seme che è possibile avere giustizia (e che la giustizia funzioni in egual modo su tutto il territorio italiano e che ancora la giustizia sia uguale per tutti), che non bisogna necessariamente farsi martiri per far emergere un problema, un fenomeno Calmaria Marco Costantino 6.jpgmafioso, per estirpare il tumore non ci vuole il capro espiatorio. La prima nazionale è andata in scena all'interno del bellissimo spazio di archeologia industriale che sono le ex Distillerie Nicola De Giorgi alla periferia di Lecce (San Cesario) dove fino alla fine degli anni '80 si produceva Anisetta, Vermouth, Alchermes. In una scena iconica della fumosa pellicola “Casablanca”, Humphrey Bogart beve ad un bancone di un bar dove campeggia l'anice De Giorgi, simbolo di un'affermazione conclamata a livello internazionale. Le Distillerie da qualche anno sono state affidate alla compagnia salentina Astragali che le stanno facendo rivivere attraverso le arti performative con molti spazi, interni ed esterni, davvero evocativi in mezzo alle macchine che servivano per estrarre e far fermentare alcool e nettare.

E “Calmaria”, che in origine si chiamava “U' saluni” (il salone, sottinteso del barbiere), potrebbe essere il secondo step di “Spine”, penultimo lavoro della compagnia reggina-messinese. Anche lì un locale commerciale, in quel caso un bar-ristorante e una sospensione data da una sorta di spazio-tempo purgatoriale irreale e intangibile alla ricerca a ritroso delle radici del dolore. Tre personaggi si muovono tra queste quattro mura circoscritte in attesa dei clienti che non arrivano, in attesa di notizie che non giungono, in attesa di qualcosa che non sta accadendo. Recitano tra le immense botti che un giorno contenevano i liquori. Il triangolo è composto da Melo (Mariano Nieddu, potente e perno), il proprietario, Felice il suo aiutante (Lorenzo Praticò vivace, ago della bilancia), e Giusy (Stefania De Cola sempre intensa), sorella di quest'ultimo, da sempre innamorata ricambiata di Calmaria Marco Costantino 7.jpgMelo ma sposata con Michele, capoclan della mala della zona. La storia è semplice: la malavita locale, in complicità con l'amministrazione locale, ha messo gli occhi sul loro negozio per costruire un parcheggio e un centro commerciale e, con le buone o con le cattive, riuscirà a portarglielo via facendogli firmare con la forza delle minacce gli incartamenti per cedere l'attività.

E' un “tempo di spiriti” si dice nel testo: migliore perifrasi non ci potrebbe essere per delineare la struttura, il plot, i confini e il magma che ribolle all'interno di questo luogo-non luogo prettamente maschile e maschilista, ricettacolo di cameratismo e violenze sotterranee e represse, tenute taciute nel sottobosco dell'anima. Aleggiano, appesantiscono con la forza di gravità di un macigno che tutto blocca e soffoca e non permette di muoversi e volare. Calmaria Marco Costantino 8.jpgDue gli elementi distintivi, efficaci visivamente e drammaturgicamente, precisi e che ritornano come refrain: questo continuo pulire e lavare, questo voler sciacquare, annaffiare d'acqua per cercare quella pulizia immaginaria che il mondo esterno non può regalare ai tre personaggi, una pulizia furiosa, matta e disperatissima, e il cane Billy, randagio citato, che un giorno c'era e poi magicamente è scomparso. Un animale socievole che è l'ingenuità e la natura, che è l'istinto e la bontà e che, come è fuggito quando ha sentito l'olezzo della criminalità (“manca il coraggio di maledirla questa terra”) così tornerà quando nell'aria si spande finalmente il profumo della legalità. Questi due elementi cardine fanno da raccordo a questo tempo immobile e marcio e rancido dentro la barberia, un tempo lunghissimo e indeciso di rabbia e questo scirocco appiccicoso e sudato (è un altro personaggio che pare vivo la cappa) che limita i movimenti come avere una corda al collo, una catena, un guinzaglio a legarli allo steccato invalicabile, insuperabile. Ma, a volte, succedono cose imprevedibili, accadono le rinascite, le rotture con mondi consolidati dagli andamenti dati per scontato e “quando pensi che sia finita proprio allora comincia la salita”. Un testo contro l'ignavia, per smuovere la consapevolezza, contro l'omertà, contro chi pensa che le storie e i patimenti degli altri non gli appartengano.

Foto: Marco Costantino

Tommaso Chimenti 06/12/2022

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