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C’era “ciccia” da recitare: Massimo Popolizio e le nevrosi di Ponzio Pilato

Una fulminea presentazione, un palco austero, pochi fronzoli e tanta “ciccia” da recitare. In occasione della rassegna Flautissimo Massimo Popolizio porta nella sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica un reading – l'idea nasce da una lettura su Radio 3 – un monologo, una soggettiva, un’opera in musica, un’esemplare prova d’attore. È tutto questo “Pilato”, drammaturgia musicale del secondo capitolo del “Maestro e Margherita”, capolavoro del Maestro russo Michail Bulgakov pubblicato postumo nel 1967.
Si tratta di una vera e propria soggettiva del procuratore della Giudea Ponzio Pilato, a colloquio con il “mite predicatore” Jeshua Ha-Nozri, il Gesù Cristo di Bulgakov. Popolizio dà corpo e voce a un Pilato nevrotico, madido e furioso, “egemone” – così vuole essere chiamato dall’arrestato – e impaurito, tremulo e accecato da una terribile emicrania. È proprio questa la forza del testo – complicatissimo, frenetico e tenuto con maestria spaziale dall’attore – che presenta un personaggio tutt’altro che invincibile, bensì vulnerabile, umano. I cambi d’umore di Pilato sono repentini e il Premio Ubu li mette in scena con realismo carnale, contrapponendoli al timbro più docile dell'interlocutore Jeshua e al capo del Sinedrio Caifa, “ipocrita” dantesco, sommo sacerdote che afferma di voler salvare l'assassino Bar-Raban.
Il cranio calvo di Pilato è un punto di riferimento visivo che accompagna i ponti musicali orientaleggianti di Stefano Saletti, perfetto contrappunto per l’infervorato racconto di Popolizio. L’elemento della testa, i cori epici di Barbara Eramo e il suono degli strumenti grecizzanti di Saletti e Pejman Tadayon riecheggiano inoltre le diverse opere cinematografiche dedicate al Cristo e al tema religioso, da “Ben Hur” ai film sui Vangeli fino alle varie Passioni. Un dialogo tra uomini la cui aura sacrale diventa tragica e ricorda l'incontro di Dioniso e Penteo nelle Baccanti di Euripide.
L’arabesco musicale accompagna una disputa morale che si fa battaglia fisica e sfida di resistenza tra un filosofo di pace che predica l’esistenza di una verità e un sanguinario funzionario – metafora della censura sovietica che perseguitò Bulgakov negli anni Trenta – che si fa omuncolo difendendo, di quella verità, l’assenza.

Daniele Sidonio 29/12/2015

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