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((Black Holes)), con Nicola Andretta un trip nella mente di un malato neurologico

“Non è uno spettacolo triste, né di denuncia. Volevo raccontare storie che ho visto coi miei occhi, i glitch nella mente di un malato di sclerosi multipla”. Così Nicola Andretta, regista e autore di ((Black Holes)), in scena l’8 maggio al teatro Ferrari di Camposampiero (Pd), descrive il suo spettacolo. Un testo complesso, ricco di sfaccettature e dalla complicata resa interpretativa: gli attori dovranno infatti confrontarsi con realtà che un malato neurologico conosce bene, ma che a un “sano” sono pressoché sconosciute e inimmaginabili.

“Il testo nasce da una serie di interviste che ho realizzato all’ospedale di Padova, nel reparto di Neurologia. Lì i ricoverati, quelli a cui non è stata ancora data la diagnosi definitiva, si mescolano con i malati che si sottopongono alla terapia in day hospital. Ho passato intere giornate in reparto, intervistando malati, infermieri e medici. Tutti avevano una gran voglia di parlare. Quando passi lì dentro quasi tutta la tua giornata, è normale”.
Cosa prova una persona sana, che all’improvviso smette di camminare, si paralizza, non riesce più a ragionare? ((Black Holes)) traccia un tragicomico quadro della situazione di due pazienti, X e Y. X è un uomo di mezza età, a cui la malattia ha tolto l’uso degli arti, ma non l’intelletto velenoso e sagace. Y è un ragazzo, in grado di muoversi ma privato del ragionamento, del pensiero. I due vengono accuditi da un Medico e un’Infermiera, che a loro confidano le loro frustrazioni, i loro rimpianti, le loro storie.

“I personaggi X e Y sono stati scritti mettendo insieme diverse storie vere di pazienti intervistati. Persone che magari studiavano, lavoravano, tagliavano l’erba la domenica, e che all’improvviso si sono trovate come prigioniere del proprio corpo. Iniziavano una frase e si dimenticavano subito dopo quello che volevano dire, rileggevano più volte un testo senza capirlo. Oppure sentivano formicolii agli arti, annebbiamento della vista, o si paralizzavano. La cosa più inquietante di questa malattia è che ogni malato ha i suoi sintomi, che possono essere molti diversi da quelli di un altro. I "buchi neri" del titolo sono veri, si tratta di lesioni neurologiche che producono questi effetti a volte tragici, a volte anche comici. Ho messo insieme diverse storie e ho creato X e Y. Questi due personaggi sono immersi in un tempo indefinito, un luogo che non prevede un fuori, un flusso di eventi nel quale capitano diversi glitch, imprevisti lessicali, digressioni, effetti sonori. Lo spettatore sarà immerso nella realtà di un malato di sclerosi multipla a tutti gli effetti: neon da ospedale, effetti acustici disturbanti come un fischio perenne o una radiolina a cui le persone dovranno abituarsi. Vediamo quanti lasceranno la sala durante lo spettacolo” (ride).

Il testo non prevede unicamente il punto di vista del malato. Il Medico e l’Infermiera sono personaggi cruciali, creati dalle storie vere del personale dell’ospedale che si è confidato con Nicola Andretta.
“Quello che mi ha colpito di più intervistando le infermiere è che la quasi totalità di loro non voleva fare quel lavoro, a Neurologia è arrivata per i motivi più disparati. Accudire chi non ha nessuna speranza di guarire (al momento non esiste una cura per la sclerosi multipla, ndr) è frustrante. La routine del lavoro uccide, fa sprofondare queste persone nella sindrome da burnout, tipica delle professioni assistenziali. E i medici non sono da meno. Uno di loro mi ha confidato a cuore aperto la sua solitudine, cosa prova quando torna a casa e non c’è nessuno ad accoglierlo, solo una gatta. Mi ha raccontato che vive in una casa di cui deve pagare il mutuo da solo perché il partner l’ha lasciato, e la famiglia non gli parla più per questo. Un’altra mi ha raccontato che è bravissima a cantare, che avrebbe voluto fare questo nella vita. Sono tutte storie vere”.

Si può quasi dire che i medici e gli infermieri, in questo spettacolo, soffrano di una sorta di sclerosi dell’anima, che li rende bisognosi di cure tanto quanto i pazienti. “Quello che ho visto è un’umanità devastata ma incredibilmente interessante. Da una parte i drammi dei medici e degli infermieri, gente che ha vissuto per fare carriera e aiutare gli altri e che si ritrova sola, sfruttata e abbandonata da tutti. Dall’altra i pazienti, che si piangono addosso, fanno i capricci, saltano dai tavoli…”.

((Black Holes)) è un testo che, come il suo nome,è imprevedibile. Non si sa esattamente cosa aspettarsi da una drammaturgia del genere, affidata agli imprevisti mentali e fisici di due malati e ai drammi interiori di due assistenti. “Sì, il testo potrebbe non finire mai. In realtà tutto cambia dal momento in cui Y si butta dal tavolo. Lì succede qualcosa di diverso nel linguaggio, che fino a quel momento era prigioniero di una serie di errori logici, fratture di senso e imprevedibilità. Questa azione ne innesca delle altre che portano il testo a concludersi. Ma potrebbe continuare all’infinito: come i testi di Beckett, che è l’autore della mia vita. In realtà il mio spettacolo ha la stessa struttura di Finale di partita, che ho preso a modello per costruire tutto, dai personaggi all’ambientazione allo svolgimento”. ((Black Holes)) è uno spettacolo che si rivolge non solo ai malati neurologici, ma a tutti coloro che vogliono provare a capire il loro punto di vista e, non meno importante, vogliono supportare il teatro indipendente. 

“Lo spettacolo è un viaggio nel cervello di un malato; i miei attori sono stati chiamati a svolgere un compito non facile. Ne sono all’altezza sicuramente: Federico Palmieri è un attore rodato e di grande esperienza, Joshua Isaiah Maduro è giovanissimo, ha appena compiuto 18 anni, ma è un vero mostro. Viene dalla compagnia di teatro per adolescenti Bestoj, che ho fondato con Maria Chiara Pederzini (il Medico) e che segue anche Alice Spisa (l’Infermiera). L’augurio è che la gente colga la voglia spasmodica di vita che pervade il testo, una voglia che può essere negata e impedita, ma che non per questo smette di pulsare. Speriamo arrivi a toccare anche loro”.

Giulia Zennaro, 7/5/2019