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"Bed Boy Jack": cerchiamo la verità o è più cool la rappresentazione del reale?

MILANO – Quello che abbiamo visto assistendo alla novità “Bed Boy Jack” (prod. Filodrammatici, Stabile Veneto, Next '20) scritto e diretto da Bruno Fornasari si potrebbe racchiudere nell'epitaffio di Schopenauer “Il mondo come volontà o rappresentazione” ovvero il reale là fuori è la mia rappresentazione e tutte le rappresentazioni sono oggetti del soggetto e tutti gli oggetti sono rappresentazioni quindi il mondo è copia e non realtà vera. Perché è di questo che si discute e discerne sullo sfondo della vicenda, di cronaca vera, di Jack Unterweger serial killer di prostitute austriaco,Jack Laila Pozzo-6.jpg che uccideva le proprie vittime formando un cappio attorno al collo con il loro reggiseno. Figura particolare, tra gli anni '70 e '90, putto mefistofelico che riassume tratti positivi e malesseri psicologici profondi, bollato come assassino poi in carcere elevato a santo ed eroe, capro espiatorio della società, reietto che, attraverso la cultura, aveva saputo redimersi, ripulirsi, farsi perdonare e restaurare una reputazione che sembrava compromessa e reinventarsi una verginità davanti al mondo, preso ad esempio anzi, innalzato come uomo di spicco capace di cambiare strada e direzione, di migliorarsi grazie ai libri, alle letture e alla scrittura e per questo messo sul piedistallo come fulgida e positiva dimostrazione filosofica, etica ed esistenziale che il sistema carcerario poteva, se non repressivo ma accogliente e tollerante, essere una molla per riformare la comunità.

Attorno a Jack ruotavano personaggi particolari e molto influenti come Gunter Grass e Elfriede Jelinek (non a caso due futuri Premi Nobel per la Letteratura) per avvalorare le tesi di una certa sinistra progressista. Il tagliente dramma messo in piedi da Fornasari (autore troppo trascurato in Italia; stavolta nessuna nota di ironia caustica a differenza dei suoi testi precedenti dove miscelava argomentazioni profonde e un grande sarcasmo provocante) scivola nell'abisso di un equilibrio precario tra i ricordi della realtà, viziata, offuscata, collusa, camuffata, distorta, e la sua, appunto, rappresentazione come se, e il set sul palco sta lì ad indicarcelo, fossimo proprio davanti, dentro una location da fiction (compreso un tappeto di foglie secche; le scene iconiche di Erika Carretta), da serie tv con i piani a sovrapporsi in dissolvenza: i quattro fari laterali come il nastroJack© Laila Pozzo-3.jpg giallo della polizia che indica una zona interdetta perché in quel perimetro si è consumato un delitto. Si è dentro i fatti ma si assiste alla vicenda anche in una sorta di ulteriore allontanamento, un passo indietro, come se i personaggi, ovviamente già ruoli attoriali, impersonassero se stessi nel momento di rimettere in scena dettagli e attimi accaduti in una sequenza che adesso devono essere riallocati, ridisegnati, riaggiustati per meglio comprendere tutto il processo, il progressivo svolgersi del tempo, il riannodare le bobine e il dispiegarle sul tappeto di una logica che rimane sospesa, alla fine comunque senza una soluzione certa, nel limbo creato ad hoc dalla regia (che scandaglia e fiuta le paludi del non detto, dell'interruzione dell'evidenza, di quel Purgatorio dove l'innocenza come la colpevolezza sono entrambi estremi eccessivi) che mischia i piani sequenza temporali, mixa tempistiche, mostra apparizioni e fantasmi, connette il mondo dei vivi con quello dei defunti, fa parlare gli animali.

Personaggio contorto e complicato, e per questo affascinante, che Tommaso Amadio ha incarnato in una bellezza ora disarmata adesso velenosa, in comportamenti melliflui e accondiscendenti a cercare conferme e carezze come in iraconde fuoriuscite di lava, ora oratore capace di dialettica ed eloquenza adesso bruto feroce delinquente manipolatore, con i capelli impomatati ricordandoci Hitler, anche lui (e forse non è un caso) austriaco. Come in “American History X” ha il corpo tatuato, come il Fuhrer ha un cane e proprio un pastore tedesco e proprio una femmina, uscito dal carcere si mise a scrivere libri come il brigatista Cesare Battisti libero e trionfante in Francia protetto dalla dottrina Mitterand, dopo aver ucciso e scontato la sua pena una volta in libertà ha commesso lo stesso reato come Angelo Izzo Jack© Laila Pozzo-5.jpgdel massacro del Circeo. Il Male in tutte le sue forme ripercorre strade già viste e segnate, solca la via del non ritorno, si perde nelle nebbie, cade si rialza e inganna. Attorno a Jack-Amadio (istrionico e fascinoso come Di Caprio in “The wolf of Wall street” e psichedelico e allucinato come Christian Bale in “American Psycho”) ruotano in questo variopinto Luna Park tra mass media e sangue, un ispettore, lo stesso Grass, un pappone (Emanuele Arrigazzi sul bordo di un perenne baratro oscuro con i chiaroscuri guasti e corrotti dei suoi personaggi tanto amorevoli quanto limite), una prostituta, la moglie di Grass, la Jelinek (Sara Bertelà che colora di nuance tenere e tenaci le sue battute, calibrata), la giovane fidanzata minorenne e il cane, che ci ha ricordato quello di “The Summer of Sam” di Spike Lee (Chiara Serangeli leggera, assorta, effervescente come spuma).

Perché il punto focale (meglio, in questo caso, nodale visto che le vittime furono uccise con un nodo scorsoio) è tutto giocato tra la realtà dei fatti, che in definitiva non si è mai appurata oltre ogni ragionevole dubbio ma solo supportata da un processo indiziario, e quello che Jack ha fatto credere agli amici intellettuali, ai giornali, alle tv che lo intervistavano incessantemente, ai tabloid che pubblicavano i suoi articoli, alle donne che lo amavano per il fascino perverso del malvagio, alle prostitute che, pur riconoscendolo, stavano al gioco credendolo cambiato, redento, tornato puro. Un inganno continuo per cercare di apparire in una forma celestiale (il suo completo intonso e candido) per celare il nero interiore e la voglia di morte e vendetta che covava dentro. Fuori un uomo nuovo da portare sul piedistallo e dentro l'uomo antico narcisista patologico che aveva bisogno di nuovo sangue, forse, ogni volta, per tentare di uccidere metaforicamente quella madre prostituta che lo aveva abbandonato, che non sapeva fermarsi davanti alle sue malate perversioni e pulsioni omicide e sadiche. Due i refrain musicali che si intervallano e ritornano come cantilena che ricongiunge e riannoda i fili, creando una ragnatela che tutto cuce e cesella: “Der Kommissar” di Falco, non a caso anche lui austriaco, e “Sono come tu mi vuoi” di Mina ad indicare la sua propensione camaleontica a modellarsi sui bisogni e desideri dell'astante per coglierne fiducia e disvelare i suoi punti deboli.

E' fragileJack© Laila Pozzo-8.jpg, piange, fa la vittima, si professa non colpevole a gran voce, la piazza e la pancia del Paese si divide tra giustizialisti e innocentisti, non ha alibi ma non ci sono prove marmoree, è simpatico, lusinga i suoi interlocutori, è un Grande Burattinaio che tira i fili delle sue marionette. Un Angelo demoniaco o un diavolo paradisiaco che è riuscito a toccare le pieghe e le piaghe del nostro mondo contemporaneo Jack© Laila Pozzo-14.jpgche si fa volentieri abbagliare dalla forma, sceglie consapevolmente di farsi ingannare perché è più charmant, è più divertente, perché siamo pigri e spesso è molto più semplice prendere per buona la confezione ammaliante che analizzare, con la fatica del dubbio e dell'intelletto, il suo contenuto. Il binomio Amadio/Fornasari, ancora una volta, riesce a far riflettere, riesce a non far finire lo spettacolo con la fine della piece, ci fa portare “i compiti a casa”, ci scuote, ci mette in imbarazzo, ci costringe nell'esercizio di osservare il male fuori per scorgerlo dentro di noi, non ci lascia dormire sonni tranquilli: il loro non è certamente un teatro borghese consolatorio né inutilmente e pretestuosamente provocatorio. Nei testi di Bruno Fornasari c'è carne per andare a fondo, c'è materia e magma, c'è fuoco vivo e mercurio guizzante, c'è intelligenza, da sempre vaccino contro le soluzioni facili e a buon mercato.

Tommaso Chimenti 31/03/2022

Foto: Laila Pozzo

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