Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 669

“Audizioni”: il teatro, un mondo «il piú bello dei nati»

«Si prega di non applaudire per tutta la durata dello spettacolo». Al Teatro di Rifredi di Firenze esordisce con questa richiesta “Audizioni”, lo spettacolo scritto e diretto da Alessandro Riccio. Il sipario è aperto, le luci sono accese, arriva un tecnico, sul palco alcune sedie, una scala, quinte annodate che non toccano terra: abbiamo davanti uno spazio che racconta solo se stesso. E ad essere rappresentato, infatti, è il proprio il prima, ciò a cui spesso non pensiamo ma che di fatto è un momento decisivo per la messa in scena: la scelta degli interpreti che andranno a far vivere l'opera. Un provino, due attori, in ballo un’unica parte: Gianluca (Alessandro Riccio) e Veronica (Gaia Nanni). Fuoricampo arriva la voce di Paolo Santangelo, è il regista che dall’alto della sua postazione esamina l’uomo e la donna, incitandoli a tirar fuori l’anima del personaggio che devono far vivere; egli ha il potere di decidere chi starà dentro o invece sarà fuori per sempre, una presenza che è come un demiurgo, un “artefice divino” che ordina ( ma non crea) l’universo, il nume che costruisce la realtà seppur artefatta del teatro ordinando la materia bruta a somiglianza delle –sue- Idee. Qual è allora il ruolo dell’attore in questo continuo definirsi delle cose? Egli è subordinato alle capacità creative e all’azione ordinatrice di colui senza il quale, per usare le parole di Platone, «è impossibile che ogni cosa abbia nascimento», della presenza che «per qual cagione fece la generazione e quest’universo», un universo che è lo spettacolo stesso; il demiurgo-Maestro può agitarsi «sregolatamente e disordinatamente» perché riporta all’ordine il disordine delle cose reali nell’ottica di non «far altro se non la cosa più bella».audizioni

Il regista infatti c’è ma non si vede, ed è stato molto significativo il fatto di aver affidato a questo ruolo semplicemente una voce che, dall’alto della sua postazione, detta regole e decide. Ma chi sono questi attori? Da una parte un “primo della classe”, con la sua bella esperienza alle spalle e una partecipazione attiva alla vita del teatro; dall’altra un’attrice che riesce ad essere insieme donna, mamma e la suffragetta del palcoscenico che rivendica i suoi diritti, accusando l’arte di aver perso la sua autenticità e di andare nella sola direzione dei consensi. I due personaggi sono fortemente contrastanti, ma sono in realtà le due facce del teatro. Il palcoscenico, infatti, ha bisogno di approvazione da parte di chi guarda, ma l’applauso finale non deve rappresentare il solo fine della messa in scena; recitare è uscire da se stessi, ma interpretare un ruolo significa anche essere credibili donando a quel personaggio verità, corpo, anima. Essere guidati da un regista-demiurgo è importante, ma l’attore non è una marionetta né uno “schiavo” che deve solo obbedire agli ordini. E allora il teatro può, anzi, deve vivere delle contraddizioni che gli permettono di essere insieme cosa vera-ma-artefatto, interpretazione-ma-partecipazione, scelta-ma-ubbidienza, esercizio-ma-talento, lotta-ma-abbandono. 
In questo spettacolo troviamo un Riccio molto diverso da quello cui siamo abituati, o meglio troviamo le sue doti a servizio di una parte diversa, nel senso che non lo vediamo con la maschera di “Malagigio” né con i numerosi cambi d’ambito di “Tre uomini e una culla”: qui, l’unico “abito” ad essere indossato è l’esperienza, il talento attraverso cui dimostra di poter diventare comunque qualsiasi persona o sentimento pur senza elementi accessori. Grandi capacità e indole forte anche per la Nanni, in grado di passare dal ruolo di Ophelia a quello di Giulietta, da quello di mamma a quello di una giovane ribelle che ama il teatro ma non è disposta ad abbassarsi –del tutto- alle sue regole. In fin dei conti, il palco rappresenta un luogo sacro che «merita rispetto» perché mette quotidianamente alla prova chi lo vive e lo abita: qui tutto può accadere, perchè la forma è in grado di superare se stessa. Il palco è il luogo in cui –per tornare al “Timeo”- «l’opera da Lui compiuta fosse la piú bella secondo natura e la piú buona che si potesse», esso è un mondo, «il piú bello dei nati».

Laura Sciortino 27/4/2018

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM