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Arizona: i confini degli altri e quelli nostri stereotipati

BOLOGNA – Secondi molti Soloni, che parlano a distanza di migliaia di chilometri, il Presidente Trump dovrebbe far entrare indiscriminatamente tutta l'America latina che desidera andare negli Stati Uniti, avrebbe dovuto aprire le frontiere alle migliaia di disperati che hanno camminato dall'Honduras, e dovrebbe abbattere i confini per far entrare quanti più messicani possibile. Stessa cosa con i porti aperti nel Mediterraneo: l'Italia dovrebbe accogliere tutti quelli (clandestini, così si chiamano, extracomunitari, ci sono delle leggi in merito) che vogliono, con barche, barconi o scortati dalle DSCF4702-phMarinaAlessi-web.jpgOng battenti bandiere di altri Paesi (incomprensibile che sbarchino in Italia quando nel Mare Nostrum si affacciano anche Grecia, Spagna, Francia e incomprensibile che la maggior 28mar13-459.jpgparte di questi non transiti nel Belpaese ma qui rimanga anche perché Francia e Inghilterra li rispediscono indietro e di fatto li “costringono” a restare sul suolo nazionale dello sbarco) per qualsiasi motivo, anche diverso da quello umanitario o di rifugiati politici o provenienti da Stati in guerra (Marocco, Tunisia, Nigeria, Senegal ad esempio non lo sono) e vogliano venire in Europa rimpolpando in primis le casse degli scafisti. I confini però esistono, ed esistono anche le frontiere, ed esistono perfino i passaporti e i visti internazionali. Inoltre molti danno per scontato che gli elettori, che hanno votato democraticamente nelle urne, di Stati Uniti, Ungheria, Russia e Italia, solo per citarne alcuni, siano minorati mentali, non riescano proprio a comprendere. Così, abbassando gli altri, ci si autoesalta.

In “Arizona” (produzione Emilia Romagna Teatro) di Juan Carlos Rubio, autore spagnolo, testo di una decina di anni fa, il fulcro è proprio la stupidità di due statunitensi stereotipati, creduloni, infarciti di biechi nozionismi, incapaci di attivare un pensiero personale sugli accadimenti esterni ed imbevuti di partigianeria. Due americani che stazionano nei pressi della frontiera con il Messico, controllandola. Ovviamente il pubblico ne ride perché, si sa, è dato per scontato, i messicani non vogliono entrare negli Stati Uniti e nessuno entra da quei confini. Gli Stati Uniti hanno la più grande popolazione carceraria del mondo, i messicano-statunitensi sono oltre 30 milioni, il 10% della popolazione, la cocaina arriva principalmente da lì, mentre nelle carceri la stessa etnia rappresenta il 22%. Esiste un fenomeno oppure bisogna girare la testa dall'altra parte? Come affrontarlo? Esiste la prevenzione ed anche la repressione in tutti gli stati democratici e queste due “armi” devono necessariamente supportarsi a vicenda.

La ARIZONA-ERT-phMarinaAlessi-web-e1571242051883.jpgmessinscena è identica a quella che abbiamo visto in occasione del Festival de Almada a Lisbona nel luglio 2018 realizzata dalla compagnia messicana Teatro de Babel (un testo sponsor del loro Paese). Nel caso italiano, Fabrizio Falco, anche regista, è George, cappellino, occhiali da sole e colori mimetici che ci ha ricordato il personaggio di John Goodman ne “Il Grande Lebowsky”, bifolco di provincia pronto a sparare più che a ragionare. La moglie Margareth (entrambi i nomi sono di reali inglesi) è Laura Marinoni, una donna insicura che segue ciecamente il marito ma che rimane dubbiosa su molte certezze che il coniuge le propone e propina come verità assolute. L'atmosfera è da western e l'aria rimane sospesa tra “Non è un Paese per vecchi” e “Breaking Bad”. La bandiera americana piantata nella sabbia del deserto del Paese che confina con il Messico sa tanto di sbarco sulla Luna. Si sono portati dietro anche mazze da golf e frigo, un binocolo e tante chiacchiere banali.arizona-phmarinaalessi-web.jpg

Fare ironia e stereotipizzare gli statunitensi è lecito non lo sarebbe altrettanto con altre etnie o popolazioni, sarebbe razzismo. Tra melodramma e fotoromanzo, lei è assente e logorroica mentre lui rimane concentrato sulla sua missione che però non trova concretezza perché dall'altra parte non si vede nessuno (il che non significa che centinaia di migliaia non passino illegalmente ogni anno il confine). Ovviamente George è sessualmente precoce, oltre che ottuso come i cavernicoli Flintstones e le banalità del testo abbondano; Margareth infatti afferma: “Mio nonno arrivava dall'Ungheria”, non considerando le condizioni mondiali stravolte e mutate vertiginosamente (ad inizio del 1900 la popolazione del globo era di un miliardo e mezzo, oggi si aggira sui 7.7 mld di persone). La storia d'infelicità di questi Olindo e Rosa in salsa a stelle e strisce (il testo non sposta nessun pensiero critico e anzi rafforza in maniera consolatoria coloro che si credono intellettivamente superiori e giudicano a distanza) non può che finire in tragedia, così il pubblico è contento che, almeno nella finzione, il conquistatore è stato punito a dovere. Apriamo le frontiere, apriamo i porti.

Tommaso Chimenti 25/10/2019

Foto: Marina Alessi