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“Animali da bar” assetati di sogni e speranze

Si aggirano come bestie ferite, randagie e allo sbando, tra il bancone e i tavoli di un locale di periferia, quasi dimenticato, sorseggiando e assaporando birre, fiumi di alcool ed enormi fragilità, i protagonisti di “Animali da bar” in scena al Piccolo Eliseo. Alcuni sono più feroci, ringhiano e graffiano, altri più mansueti, docili e sottomessi, ma tutti assetati di amore e di speranza.
Nel secondo appuntamento della trilogia dedicata alla compagnia Carrozzeria Orfeo, si respira la stessa dimensione borderline del precedente “Cous Cous Klan”, si riscontra lo stesso stile crudo e ammaliante che li caratterizza, si incontrano le stesse anime perse e vinte dalla fredda esistenza.
Anche in questo caso ci troviamo in un luogo di esclusione, davanti a personaggi al limite, diversi, brutti, con delle forti mancanze affettive e morali, con delle sofferenze che covano dentro, di cui si nutrono sempre più. Provano a sopravvivere come possono, a non affogare e annegare tra i rifiuti e i veleni di una società che li ha messi in un angolo, a partire dal proprietario del bar che ormai malato terminale si è ritirato a vita privata e parla solo attraverso il telefono, per passare poi a suo figlio, un ambizioso imprenditore di pompe funebri per animali di piccola taglia, alla barista ucraina Mirka, che per guadagnare affitta il suo utero, al padre del bambino che porta in grembo, un buddista che predica la pace assoluta ma è vittima delle violenze di una moglie senza scrupoli, a un bipolare zoppo che compie rapine, fino a uno scrittore alcolizzato, cinico e misterioso, obbligato a scrivere un romanzo sulla Grande Guerra.
Si incontrano e si scontrano al ritmo di dialoghi ironici e taglienti, si vomitano addosso le loro frustrazioni, le loro ossessioni e manie, le loro insicurezze. animalidabar2lailapozzo
Perno centrale, intorno al quale ruota l’intera vicenda, è senza dubbio Mirka, un’immensa Beatrice Schiros, capace di muovere le fila del racconto, di trasmettere la finta durezza del duo personaggio e poi quella vena romantica, poetica e sensibile che emerge senza filtri quando intona le canzoni della Disney. Con il suo pancione, quei cattivi odori, quel volto che porta i segni della sofferenza e che va a delineare una maschera ruvida che nasconde in realtà il suo desiderio di essere una principessa amata e accettata, è il vero motore di un ingranaggio teatrale perfetto. È lei che consola lo zoppo bipolare, che incoraggia l’imprenditore ipocondriaco, che assiste il vecchio malato, che infonde fiducia e fa innamorare il padre al quale ha affittato il suo utero.
I protagonisti, aggirandosi in uno zoo metropolitano, proprio come animali che brancolano nel buio, bramosi di speranza, si muovono tra temi di toccante attualità, tra razzismo imperante, consumismo, logiche di mercato e di potere, affrontate con toni dissacranti, battute che suscitano ilarità e riflessioni che si insinuano nella mente. Una speranza che di nuovo, come in “Cous Cous Klan”, sembra apparire ai loro occhi attraverso una visione, un’allucinazione, con l’avvento di questo bambino che potrebbe essere una creatura quasi divina che cambierebbe le loro vite. Ma purtroppo le cose non vanno mai come si spera, e questa illusione dura ben poco. Qualcuno ce la fa, qualcun altro no.
Carrozzeria Orfeo con il suo caleidoscopio di tipi e tipologie umane stupisce, diverte,ammalia, commuove, indigna, grazie a quel fil rouge che lega il loro linguaggio e il loro stile inconfondibile che si riscontra in ogni lavoro, che non perde mai la sua potenza e anzi, in questo caso, si carica di una componente metaletteraria che sorprende e lascia senza parole, potendo contare costantemente su una regia lucida e delle interpretazioni impeccabili.
Gli "Animali da bar" sono semplicemente il frutto della mente di uno scrittore che decide di descrivere la guerra quotidiana che, in periferie del mondo, alcuni soldati senza armatura sono costretti a combattere ogni giorno. Certi ne escono vincitori, altri vinti, ma con nel cuore la consapevolezza di aver lottato per raggiungere un sogno, una condizione di serenità.

Maresa Palmacci 18-01-2019

Ph: Laila Pozzo

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