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Pennacchi-Pojana, il Veneto e l'amara Italia provinciale

FIRENZE – E' un inno alla provincia questo stare sfrontato e bonario assieme di Andrea Pennacchi davanti al suo leggio e al suo microfono, quasi fosse sul pennone del Titanic ad ammonirci, a solleticarci, a istruirci, a punzecchiare le nostre debolezze, le nostre false credenze, i nostri preconcetti. Va alla pancia “Pojana e i suoi fratelli” (visto al Teatro Puccini; il titolo è anche un volume edito), colpisce giù duro ma poi Pennacchi ti dà sempre la mano per farti rialzare, pesta pesante ma la lotta deve essere schietta, pulita, a rompere le ossa ma sempre con il sorriso sornione e una pacca cannavacciuolesca sulle scapole per farti tossire e sputare l'anima. Pennacchi elargisce e mette sul piatto il ventaglio dei suoi personaggi grotteschi dentro i quali, a pezzetti, come un mosaico, c'è sempre qualcosa che ci tocca, che ci fa sobbalzare: quel razzismo strisciante, quel perbenismo diffuso, quell'animosità difensiva di chi ha molto da perdere in questo mondo che cambia pelle velocemente, che mischia le carte, così come gli alleati e i nemici, e fa sbarellare i punti di riferimento.Andrea-Pennacchi-chi-e-4.jpg

Pennacchi (ormai il “Pojanistan”, dopo Propaganda Live, è diventata una vera e propria “religione”) sembra un saggio “umarèll” bolognese; direttamente dalla Treccani: “pensionato che si aggira, per lo più con le mani dietro alla schiena, presso i cantieri di lavoro, controllando, facendo domande, dando suggerimenti o criticando le attività che vi si svolgono”. Ci indica le crepe dei nostri tempi malati e confusi; e noi ridiamo con lui ma anche di noi stessi. Ha una vena rock spiazzante che tranquillizza e inquieta, ha energia punk trascinante e ruota su se stesso come un derviscio debordante, balla con la birra d'ordinanza in mano (mai proporgli un prosecco, potrebbe adombrasi e incupirsi), prende forza dalla sua corpulenta forma che dà sicurezza. Mischia idioma veneto con l'italiano e tutto prende il suono e l'atmosfera di un mondo che forse ci è scivolato tra le mani rimanendo soltanto ricordo e racconto e leggenda. L'aria da paese, da sagra, quegli odori nelle narici, quei profumi sulla pelle.

Innamorato di Shakespeare, Pennacchi (autore brillante e al tempo stesso impegnato), che si accende come Romeo degli Aristogatti, usa il dialetto come grimaldello, da rafforzativo, da miccia per farci entrare dentro il folk del Nord-Est tra gli “spritz” e gli “schei”, i “boccia” e i “mona” che non solo soltanto traslitterazioni di parole paritetiche italiane ma aprono gallerie e finestre di senso radicate nei secoli, attraverso la sua voce roca che diventa mantra, calda, passionale, materica: un quintale di prestanza, vigoria, gagliardia e vitalità, un condottiero greco con la lancia in pugno. 6522521_23085848_andrea_pennacchi.jpgIl suo animale spirito-guida è il cinghiale, schivo, diretto, rude, fiero, pugnace. Le sue storie toccano centri nervosi latenti accompagnate da scelte musicali azzeccate (con Giorgio Gobbo e Gianluca Segato ottimi interpreti alla chitarra), da Nick Cave ai Clash tradotti in veneto: si ride sfrenato ma amaro.

E' un capopopolo acido, con una grande presenza scenica, amatissimo dal pubblico, capace di coinvolgere e tenere, pennacchi-800x800-1.jpegabbracciare e stringere la platea, severo ma giusto, che ci presenta il suo Veneto come un Far West, un Texas nostrano, un Vietnam. Burbero e malinconico (a tratti ricorda Natalino Balasso), semplice e colmo di naturalezza, ha la sapienza spietata di chi ne ha viste molte, dei vecchi che giocano a carte al bar che conoscono come gira il mondo pur essendo rimasti lì fermi per decenni con il sedere sulle stesse sedie impagliate tra bestemmie incancrenite e Tressette all'ultimo sangue. E la sua indagine (assolutamente sul campo) è sia storica che sociologica e le sue figure stereotipate, arrabbiate, immaginarie evocate, da Franco Ford a Edo il Security, da Tonon il derattizzatore ad Alvise il Nero, denotano un grande amore per il Veneto (lui padovano doc), per l'Italia, per il nostro essere tricolore sempre sospesi tra il cialtrone e il genio, l'artista e il ciarlatano, saltimbanchi e poeti.

Tommaso Chimenti 07/03/2022

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