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“Amazzonia”: il grido disperato e inascoltato della Terra

È un urlo silenzioso e invisibile quello del pianeta Terra. Un richiamo a tratti impercettibile all’orecchio umano, troppo preso dalla propria vana esistenza per dedicare anche solo un minuto della sua giornata a delle scelte consapevoli che, oltre a produrre il suo egoistico benessere, possano tutelare l’ambiente. In un periodo storico in cui la priorità più grande sembra essere la ricerca effimera della perfezione c’è ancora un modo per sensibilizzare gli esseri umani a rispettare l’ambiente in cui vivono e di cui sono ospiti? Enrico Maria Falconi, in veste di autore, regista e attore, ci prova con il teatro, senza remore o indugi, con l’emotivo e coinvolgente spettacolo “Amazzonia”. Sul palco 27 attori, una compagnia che non ha paura di schierarsi, di affrontare di petto la situazione degenerativa verso cui stiamo conducendo la nostra intera specie.Amazzonia01 Siamo nella sala del teatro Ambra alla Garbatella di Roma. O forse no. “Amazzonia”, infatti, non è solo l’esotico titolo dello spettacolo, ma è un viaggio multisensoriale alla scoperta dell’altro, così lontano e diverso da ciò che è conosciuto, ma anche di noi stessi e dei nostri errori passati e presenti. Come felini, sinuosi e scattanti, gli attori interpretanti gli Indios saltano e corrono tra le file delle poltrone del teatro. Osservano e studiano di sottecchi gli spettatori, immergendoli sin da prima dell’inizio della messa in scena, in una attraente riproduzione della foresta amazzonica, con nebbia tropicale e rumori atavici.
Il teatro ecologico di Falconi non ha bisogno di incorrere nella verbosità per trasmettere il suo potente messaggio accusatorio verso l’uomo. Bastano gli sguardi calamitici degli Indios, le loro dettagliate ritualità, i loro gesti ricchi di sensi per raccontare un mondo lontano nel tempo e nello spazio. Alla loro ingenua vitalità l’autore e regista contrappone, sempre con una rigorosa attenzione ai movimenti scenici degli attori, l’aggressività e il desiderio di sopraffazione degli occidentali. Un incontro/scontro tra popoli e culture, recitato, a tratti quasi danzato, sulle note di musiche autoctone e lirica italiana. Ma la degenerazione ambientale, iniziata con l’eccidio degli Indios e la distruzione progressiva della foresta amazzonica, è solo l’inizio del drammatico percorso intrapreso dagli occidentali. Ecco allora che attraverso una scenografia mobile e facile da trasformare per mano degli stessi attori, l’umida foresta dell’America latina lascia lo spazio al caldo calore di una città partenopea.
Amazzonia02Due tipi di Sud, separati dall’oceano, ma accomunati dalla stessa mancanza di rispetto umano verso le bellezze naturali. Due realtà abbandonate a se stesse, di cui ci si ricorda solo per interesse. Che si tratti del cinquecento o del 2017 l’uomo, infatti, da sempre abbatte, taglia, costruisce, asfalta senza mai pensare alle conseguenze delle sue azioni, protetto e sorretto da un sistema capitalistico, interessato solo al profitto e al potere. Falconi e i suoi attori ne sono consapevoli e per questo ricorrendo a favole brasiliane, encicliche papali, poesie e contaminazioni musicali, si fanno portavoce dell’urlo del pianeta Terra. “Amazzonia” amplifica questo grido di dolore e disperazione e lo porta lì, sul palco, obbligando lo spettatore a fare i conti con se stesso e con la storia della sua specie.

Tutti siamo colpevoli della distruzione del nostro ecosistema. Ognuno di noi è una goccia in un mare infintamente grande, dove dominano correnti potenti, ma questo non può impedirci nel nostro piccolo di rispettare ciò che ci circonda. Sin da quando nasciamo diamo per scontato che tutto sia in nostro possesso. Ecco “Amazzonia”, con la forza dirompente di uno schiaffo, ci sveglia dal letargo in cui ci siamo nascosti, e ci chiede di essere uomini consapevoli e attivi per porre un freno a questo inesorabile e veloce movimento di autodistruzione.

“Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla - scrive Papa Francesco nell’Enciclica “Laudato si” - La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che geme e soffre le doglie del parto. Dimentichiamo che noi stessi siamo terra”.


Eleonora D’Ippolito

01/05/2017

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