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Agamennone: Santa Estasi di Antonio Latella on line su ERTonAIR

Brunella Giolivo

“Vecchi di merda!” Con queste parole Egisto apostrofa il coro nell’Agamennone di Antonio Latella, terzo capitolo del ciclo "Santa Estasi. Atridi: otto ritratti di famiglia" (2016).

ll drammaturgo napoletano nella sua versione scompone e smantella ogni singolo momento o personaggio della tragedia di Eschilo, unico ad essersi occupato di questo mito nell’antichità, forse perché ritenuto fra i più complessi e scandalosi. La storia dell’assassinio del re di Argo da parte della moglie Clitemnestra e del suo amante Egisto diviene estremamente attuale e contemporanea, rimanendo allo stesso tempo profondamente ancorata all’humus della versione del 458 a.C. A partire dal linguaggio, che mescola lingue arcaiche con un italiano a volte aulico, a volte molto giovanile, che sfocia addirittura in ritmi che ricordano il rap.

Il coro, unità minima ed essenziale del teatro greco, è il primo “protagonista” a subire una destrutturazione radicale. Gli anziani, privati della loro aura sacrale (appaiono seduti su delle comuni sedie di paglia), non sono più depositari di una saggezza antica. In balia degli eventi, esattamente come tutti, si limitano ad enunciare il prologo, a sbattere bastoni e a puntare i piedi, salvo poi essere spazzati via dalla furia della sovrana.

Parlano in greco antico, poi in latino, ma nessuno riesce più a comprenderli, né Egisto, né Agamennone, né un messaggero che giunge sulla scena durante il finale (Isacco Venturini). L’arrivo del re sembra legittimarli nuovamente per un secondo e rimetterli, letteralmente, al proprio posto, ma in realtà continueranno ad assistere alle vicende senza essere in grado di influenzarle.Agamennone

Stessa sorte tocca a Clitemnestra (Ilaria Matilde Vigna). La donna, “cagna fedele” in attesa del ritorno del marito, grazie a Latella si prende l’intero spazio scenico e diviene ancora più protagonista di quanto non fosse in Eschilo. L’uomo, il sovrano, è infatti assente (arriva in scena al minuto 57).

Tutti gli uomini sono assenti in questa versione: il capocoro è una donna (Mariasilvia Greco) ed Egisto (Emanuele Turetta) diviene un “figlio di papà” isterico, sottomesso ed effemminato, che appare in scena con gonna e stivaletti e sembra portarsi dietro lo collera e la sofferenza ereditate dal padre Tieste ma contemporaneamente tipiche di un figlio non voluto, nato da un incesto. Persino Agamennone (Leonardo Lidi), una volta entrato in scena, verrà rappresentato come una figura schiacciata dal peso della guerra e dai fantasmi del passato, e quindi incapace di riprendere il proprio posto. Un uomo confuso, che bacia Egisto con la stessa passione con cui bacia la moglie e che arriva ad annunciare che è disposto “a fare la democrazia”, pur di non dover regnare più.

La sovrana, quindi, controlla tutti, ed incombe sulle vite di ogni singolo personaggio. Ma allo stesso tempo subisce una trasformazione radicale, frutto di un vero e proprio sdoppiamento. Nella trasposizione del 2016, infatti, non è più un’assassina spietata, assetata di potere e mossa da motivazioni confuse e sovrapposte (desiderio di usurpare il trono, vendetta per il sacrificio di sua figlia Ifigenia da parte di Agamennone, gelosia nei confronti di Cassandra, schiava del marito vinta in guerra). O meglio, lo è ancora, in una piccolissima parte nascosta dietro una fierezza e una sicurezza ostentate mentre è seduta sul “trono”. Latella, però, fa convivere questa natura con quella di una mater dolorosa: per il drammaturgo i motivi dietro al gesto della donna sono quindi chiarissimi, e sono dettati esclusivamente dal voler riempiere un vuoto incolmabile attraverso un gesto estremo, l’uccisione di colui che le ha portato via la figlia nel fiore degli anni e che ha “stuprato il sogno di adolescenza” della fanciulla.

Questa sua doppia natura emerge nel discorso che recita per accogliere Agamennone. Clitemnestra, infatti, rimane lucida, mente al marito, afferma di non aver mai conosciuto altro uomo, mentre il coro sottolinea che le sue sono “parole oblique”. Lo costringe a camminare su un tappeto di porpora, simbolo di regalità ma anche della sua imminente morte. Come nella versione eschilea, i piedi empi dell’uomo che ha ordinato l’omicidio di Ifigenia non devono toccare il suolo di Argo. E con la stessa tragica lucidità lo uccide, davanti a tutti, laddove nella versione originale i due assassinii venivano semplicemente rievocati, perché ritenuti “osceni”, ovvero da tenere “lontani dalle scene”.

Ed infine, la scomposizione riguarda anche figure minori, come il guardiano (Gianpaolo Pasqualino) posto dalla regina sul tetto della casa per annunciare il ritorno del re. Appare in scena per primo: recita pedissequamente il monologo iniziale della tragedia, nella traduzione di Pasolini, alternandolo con il ritornello della canzone Malarazza di Domenico Modugno, che sottolinea la sua condizione di “sottomesso” e il suo inconscio desiderio di ribellione nei confronti della “regina dal cuore di uomo”. Pedala ossessivamente su una bicicletta, che simboleggia la ciclicità tanto delle sue giornate quanto dei dieci anni trascorsi in attesa, cercando di mantenere accesa una dinamo, emblema di una speranza sempre più flebile, che si spegnerà, non a caso, a fine tragedia.

Se i personaggi subiscono una trasformazione radicale, altrettanto non accade per la struttura narrativa che, pur cambiata totalmente di senso, rimane fedele all’originale e tocca i punti salienti della vicenda. Molto spazio viene lasciato al delirio di Clitemnestra ad uccisione avvenuta. La donna si dispera, ricorda la figlia, piange per aver ammazzato il marito ma poi si abbandona all’alcool ed a una risata isterica, accompagnata da Egisto. Il “nuovo sovrano” cercherà poi anche di sterminare il coro, per spazzare via ciò che c’è di vecchio e per instaurare un ordine nuovo.

.All’interno di una messinscena scarna, identica per tutta la tragedia (vi sono solamente la bici, le sedie del coro e due poltrone da ufficio con le rotelle, al posto dei due troni) avviene anche l’atto finale della rappresentazione. Dopo aver gioito per la morte del re, Clitemnestra decide di uccidere anche Cassandra (Barbara Mattavelli), laddove nella versione di Eschilo gli omicidi sono perpetrati contemporaneamente. La giovane, che per tutto il tempo è rimasta in silenzio, seduta in mezzo al coro, si alza e inizia a predire, con parole sconnesse, la sua imminente morte, il suo regno e la vendetta di Oreste. Alterna l’italiano a formule greche, e mentre viene strangolata dalla “rivale” sembra quasi una bambina, nel suo vestito rosso e nella sua speranza di ricongiungersi ai familiari morti. Dopo Ifigenia, un’altra innocente è vittima della guerra.Agamennone

“La cosa è fatta. Andate a casa”. Il congedo della regina restituisce infine tutto il senso del mito e lascia in sospeso un destino pieno di incertezze che continuerà a ripetersi per le generazioni successive, a partire dai suoi figli.

 

Santa Estasi. Atridi: otto ritratti di famiglia è nato nel 2016 dal Corso di Alta Formazione che Antonio Latella ha condotto per Emilia Romagna Teatro Fondazione dirigendo sedici attori e sette drammaturghi, ed è divenuto un vero e proprio caso teatrale. Dal 23 maggio, ogni giorno alle ore 18.00 sarà online un nuovo capitolo, sulla pagina ufficiale del teatro, fino a domenica 31 maggio, data in cui sarà possibile assistere agli otto spettacoli in forma di maratona dalle ore 15.00. I video, a cura di Lucio Fiorentino, rimarranno disponibili nella pagina ERTonAIR fino al 30 giugno.

Il coro, nell’Agamennone, è composto da Alessandro Bay Rossi, Barbara Chichiarelli, Marta Cortellazzo Wiel, Ludovico Fededegni, Christian La Rosa, Alexis Aliosha Massine, Federica Rosellini, Andrea Sorrentino, Giuliana Vigogna.

 Claudia Silvestri 26\05\2020

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