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"Fatevi sentire, vi chiamo io" di e con Adolfo Margiotta: in scena all'Altrove Teatro Studio

Per la regia di Paola Ferrando e la scenografia di Fulvio Ferrando va in scena, dal 7 al 10 marzo, all’Altrove Teatro Studio, "Fatevi sentire, vi chiamo io", spettacolo di e con Adolfo Margiotta.

Quante volte siamo arrivati affannati e senza fiato alla fermata della metro per prendere il treno? E quante volte è capitato di perderlo, di vedere le porte chiudersi e quel treno (quell’occasione?) andare via? Questo è ciò che succede a Boves (Adolfo Margiotta), top manager milanese, che deve correre al lavoro per firmare un importante contratto. Costretto ad aspettare in una spoglia stazione della metro, Boves ha come compagnia un orsetto di peluche su una sedia, lì, in un limbo dove il tempo si ferma improvvisamente.

È allora che una schiera di personaggi fa la sua comparsa sulla scena: 18 individui singolari, tutti interpretati dalla voce roca di Margiotta che muta l’espressione del volto, gesti e intonazione e riesce a rendere credibile la conversazione tra Boves e un suo alter ego napoletano, con un siculo geloso della moglie, un omosessuale, un cocainomane in astinenza, un extracomunitario, una nonnina ninfomane, un ladro calabrese travestito da monaco tibetano, fino ad un mastino napoletano che parla, anzi borbotta, in dialetto. Questi brevi dialoghi sono l’occasione per Boves di fare un bilancio della propria esistenza: è all’apice del suo successo, con un lavoro che gli permette di godersi la bella vita, l’alcool, la droga, ma è un lavoro che odia, che lo logora dall’interno. “Guarda che faccia grigia che ho” dice, guardandosi in uno specchio. Essere al top è stancante, soprattutto per lui che avrebbe voluto fare tutt’altro, che avrebbe voluto diventare uno scrittore, per arrivare in alto ha rinunciato ai suoi sogni ed ora è un infelice, senza molti amici e con molti vizi.

Margiotta intrattiene il pubblico, dialoga, urla, si arrabbia, riflette a voce alta, perché questa lunga attesa lo costringe a fermarsi e a fare i conti con se stesso, con ciò a cui ha rinunciato. I suoi interlocutori lo stuzzicano, lo maltrattano, lo esasperano, senza che Boves capisca il motivo. Solo quando riconoscerà nel peluche il suo orsetto d’infanzia e il tempo riprenderà a scorrere, Boves si renderà conto che, sospeso in questo limbo, si trova davanti ad un bivio.

Quei 18 personaggi vengono dalla sua mente e dal suo passato: sono i personaggi mai scritti, quelli solo abbozzati, che esistono, ma non vivono, esattamente come il loro creatore. Ora gli è stata data una nuova occasione, una scelta: “Se non trovi il tuo talento, sei spento per sempre” e lo spettacolo cerca di dirci questo, di cercare dentro quella scintilla, quel fuoco che fa brillare l’anima. Provare a prendere quel treno, anche se la corsa ti lascerà senza fiato, spettinato, stanco, perché quella corsa sarà la scelta migliore della tua vita.

Maria Castaldo 08/03/19