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A.N.D.R.E.A, sei personaggi in cerca di una “presa di coscienza”

È stato un esperimento decisamente interessante A.N.D.R.E.A, spettacolo della Compagnia Fondamenta Teatro e Teatri e andato in scena i giorni dal 1 al 3 aprile al Teatro di Posa del Campus di Cinecittà Studios. Già all’ingresso diventa chiaro che il tentativo è quello di immergere fin da subito lo spettatore all’interno della storia: per raggiungere gli spalti, infatti, si deve passare per un tunnel avvolgente e oscuro, in cui domina il buio; durante il tragitto, si è accompagnati da gemiti, urla, risate isteriche e un “bip” che ha tutta l’aria di essere quello tipico di un elettrocardiogramma. Raggiunto il proprio posto, balzano all’attenzione sei bolle di cellophane illuminate da luci verdi e azzurre, dentro le quali sei attori (Nathalie Cariolle, Giancarlo Commare, Marialuisa D’Avella, Paola D’Uva, Riccardo Toselli, Fabio Versaci) si dimenano con sempre più voga fino ad arrivare a squarciarle, rivelando i loro corpi nudi. L’attimo di silenzio seguente viene interrotto da una voce nitida, calda, che introduce il fulcro del discorso: l’esplorazione dell’animo umano e delle maschere indossate nella società. Gli attori prendono posto in una serie ordinata di “gabbie”, evidente metafora, costruite con oggetti diversi tra loro come scatole, orologi, libri. I sei cominciano a vestirsi indossando, lentamente, un pantalone nero e una camicia, e assumono così le stesse sembianze dell’uomo di cui rappresentano “la Coscienza”. Le sei personalità iniziano ad affrontarsi e scontrarsi su diversi temi e sentimenti, mettendo in scena il complesso modo in cui la mente è capace di saltare, viaggiare da un ricordo all’altro in maniera incerta e ambigua. L’esperimento è intrigante perché gioca sulla “presa di coscienza” del protagonista riguardo argomenti molesti, spesso considerati socialmente disturbanti e quindi da coprire con maschere, quali l’omosessualità, le perversioni, le droghe, il sesso. Mantenere un’obbligata moralità di facciata, mentire agli altri e mentire a sé stessi, una delle più grandi violenze che un essere umano può autoinfliggersi. La presa di coscienza, tra colpi di scena e pathos, porterà a conclusioni inaspettate.
A.N.D.R.E.A è un’opera teatrale complessa, una denuncia verso chi è assetato della voglia di onnipotenza e non si rende conto di essere un nessuno in mezzo a tanti. Degni di nota sono stati, oltre alla prova degli attori, un testo (di Marialuisa D’Avella) scorrevole, serrato, denso di figure metaforiche e una mimica che è sembrata non lasciare nulla al caso: ogni movimento, espressione, interazione era volta a evidenziare la sfaccettata, desolante e commovente complessità umana; merito dell’elegante regia di Giancarlo Commare.
In definitiva, A.N.D.R.E.A può risultare divertente o molto disturbante; sicuramente non banale, e di questi tempi è già tantissimo.

Antonino Tarquini 07/04/2016

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