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Teatro

Un Lino Musella gigantesco e le lettere di Eduardo: poesia terrena
FIRENZE – Quello messo in scena da Lino Musella è un Eduardo uomo, terreno, non le sue tragedie popolari dei quartieri napoletani ma la sua lotta quotidiana con i soldi, con i debiti, con le banche, con la burocrazia, con il teatro, nel teatro, per il teatro, la sua battaglia per la dignità della sua città. E se ne sente tutta l'amarezza, ma mai la rassegnazione, nelle lettere, lette alla vera scrivania dell'autore di “Natale in Casa Cupiello”, inviate dalla fine degli anni '50 per far rivivere il San Ferdinando, quello che sarebbe stato sangue e lacrime, sua croce e…
Fare la festa a qualcuno non è festeggiare “Il Compleanno”
ROMA – Il compleanno è il momento di passaggio per eccellenza per ogni essere umano, è l'epifania della nascita, è la celebrazione di un'intera rivoluzione terrestre attorno al proprio asse, è la consapevolezza del tempo che è passato attraverso le nostre ossa, occhi, rughe. Il compleanno è un momento cardine che serve a ristabilire chi siamo, che cosa abbiamo fatto, ricollocare le nostre priorità, ambizioni, sogni, rimorsi, rammarichi, delusioni, ma è anche una spinta e un trampolino verso il domani. E' un punto, una linea, una frontiera dalla quale ripartire domani, è una parentesi che si chiude sul passato e…
“Brigata Miracoli”: much ado about nothing
NAPOLI – Stavolta la brigata dei Vucciria potrebbe non aver compiuto il consueto miracolo di trasformare il teatro in poesia miscelando l'onirico con il materico, la sostanza grezza con la grazia, lo sporco in sogno, i bisogni primari con la delizia, la carne con la preghiera. Siamo di fronte, dopo l'illuminazione di “Immacolata Concezione”, ad un lavoro, il loro nuovo “Brigata Miracoli” (prod. Fondazione Teatro di Napoli-Teatro Bellini), molto stratificato e ricco dove molti passaggi sono dati per scontato e dove la sovrapposizione di temi ha finito per infarcire di senso una vicenda semplice con parallelismi forzati e argomentazioni collaterali. Una…
“Dov'è finito lo zio Coso”: la perdita delle parole, l'oblio della memoria
CHIANCIANO - “Ho perso le parole oppure sono loro che perdono me, lo so che dovrei dire cose che sai che ti dovevo e ti dovrei”, gorgogliava il Ligabue cantante. Quando le parole ti scivolano di mano come sabbia tra le mani, quando non riesci più ad afferrarne il senso, quando non sai più identificare gli oggetti quotidiani con un termine, allora non riesci più a comunicare, a esporre agli altri le tue emozioni, sensazioni, stati d'animo e, inevitabilmente, ti chiudi a riccio, dentro un muro invalicabile fatto di silenzi, una coltre di nebulosa impenetrabile perché ormai tutto il tuo…
“Tonno e Carciofini”: l'amicizia e le similitudini tra wrestling e il teatro
ROMA – Entrando nel foyer del piccolo e delizioso Spazio Argot (i teatri nei palazzi sono più frequenti all'estero, da noi sono più una rarità; viene in mente il Teatro Libero a Milano) campeggia un bellissimo quadro con rappresentato un lottatore, o meglio un wrestler, si notano appunto le corde e la maschera, quest'ultimo dettaglio è l'icona che caratterizza questo sport-show-intrattenimento rispetto ad ogni altra disciplina che si muove dentro il quadrato del ring. Sembra una strana coincidenza studiata con lo spettacolo che da lì a poco farà da detonatore dentro la sala nera, invece quell'opera staziona sulla parete accanto…
“Barabba” imprigionato in una torre piena di scale che non portano da nessuna parte
BOLOGNA – Ci sono dei casi nei quali una scena trova un'assonanza perfetta, come un abito cucito su misura, con una drammaturgia, quando un solo gigantesco oggetto feticcio diventa contenuto e contenitore delle parole, di un testo e lì dentro, abitandolo, quelle stesse sillabe riescono finalmente felicemente ad esplodere e trovano la loro casa e aspirazione e ambizione e sponda, riverbero ed eco, un loro senso alto e intimo, semplice e lineare, volando, ampliandosi. Davanti a questa Torre di Babele (ma anche torre di Kiefer) per salire verso un Dio che invece vuole affossarci perché non ci ha compresi, piena…
“Dopo la pioggia”: due sorelle infelicemente indivisibili
ROMA – “C’è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo” (Fabrizio De André). Dopo la pioggia si dice che torni sempre il sereno. E ancora: “non può piovere per sempre”, corvescamente parlando. L'acqua lacrimevole che scende dal cielo (torna in mente anche “X agosto” di Pascoli) in questo “Dopo la pioggia” (prod. Aria Teatro, Fattore K; visto all'interno della bella stagione del Teatro Basilica) porta in sé una cappa lugubre, di stallo, un affossamento che attanaglia, stringe come cappio, non permette slanci o voli, blocca a terra, tarpa le ali, una campana di vetro che da un lato…

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