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Qui, altrove e in uno stesso luogo: la penetrazione dello spazio in “Veduta > Bologna”

La danza entra nella città. Oppure la città è essa stessa la danza? “Veduta > Bologna” il progetto Mk/Michele Di Stefano è uno spettacolo che mette in discussione il concetto di visione per lo spettatore che si lascia guidare, come in un rituale, in un processo totalmente condizionato dal suono. In questa prima assoluta presentata al Festival Danza Urbana di Bologna, la bella sala del Palazzo d'Accursio rappresenta solo il luogo in cui l'esplorazione ha origine. Sì, perché la danza inizia qui, tra le mura affrescate del palazzo storico sede del municipio ma si evolve e si perde nella piazza e per le vie dello spazio antistante. Immaginate di essere accompagnati alla visione della performance da una voce che, in cuffia, vi suggerisce delle indicazioni sul dove guardare. Quella voce sussurra il percorso del danzatore, il suo scappare verso la Torre degli Asinelli dopo una breve danza. Ci si affaccia alla grande finestra che dà su Piazza Maggiore. «Mi vedi?» dice quella voce nell'orecchio dello spettatore, «sono proprio qui». Qui? Ma qui dove? In piazza ci sono solo persone che passeggiano, ignare di essere divenute protagoniste dello spettacolo coi loro bastoni da selfie mentre cercano autoscatti. Ognuno, seppur inconsapevolmente, diventa parte di questa danza fatta di camminamenti, soste, disinvolte coreografie di corpi in rapporto con uno spazio che poco conoscono o al quale sentono di appartenere. E mentre questa ossessiva ricerca del performer continua, finalmente lo vediamo; è davvero diretto a ovest, verso quei 97 metri simbolo di una città che si fa palcoscenico aperto , luogo di un dialogo tra edifici urbani e canali sensoriali dell'uomo.
Veduta” è una rappresentazione che sollecita prima di tutto lo sguardo, inteso proprio come “atto del guardare” vicino, lontano, ma anche altrove, attraverso gli occhi della mente, quindi l'immaginazione. Non vediamo, infatti, il danzatore arrivare ai piedi della torre e percorrere i 500 gradini che lo porteranno alla sommità, ma il racconto in cuffia ci lascia immaginare, passo dopo passo, a che punto del percorso lui si trovi. Una narrazione che è in perfetta sincronia con la performance, con tutto quello che “non vediamo” rispetto a quello che effettivamente vedremo. Le sole parole permettono la costruzione di un'immagine: come sale scale, se le percorre aggrappato al corrimano perché ansima, se invece conta solo lo slancio di arrivare in cima. Guardare all'orizzonte immaginando cosa esiste al di là di esso, permette di conoscere il senso di profondità, di prospettiva, senza avere una sola visione bidimensionale delle cose.
C'è una voce femminile che dialoga con il nostro protagonista, che pone a lui, come a noi, degli interrogativi, si rende “presente”, insomma, prima solo con la voce, poi anche fisicamente in una quasi destabilizzante evoluzione di questa insolita “Veduta”.
Il progetto di Michele Di Stefano risponde perfettamente all'intento di trovare un equilibrio tra danza e contesto urbano, tra aperto e chiuso, dentro e fuori. Il contagio è reciproco, la convivenza più che necessaria.

Laura Sciortino 08/09/2016

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