Mauro Astolfi coreografa pure il silenzio. Questo il tratto di maggior originalità osservato ieri sera in occasione della “Serata Spellbound”, che ha chiuso la parte estiva degli appuntamenti di “Invito alla danza”, il festival che dal 16 luglio scorso ha animato le serate di Villa Pamphilj. Con la sua compagnia, lo Spellbound contemporary ballet, il coreografo romano, tra i più apprezzati della sua generazione, ha proposto una tripartizione di balletti a cui hanno assistito in molti, nell'arena della villa di Monteverde. Lo spettacolo è partito con il passo a due “Small crime”, sul rapporto spesso conflittuale in una coppia, prosegue sul filo delle relazioni con “She is on the ground”, performance collettiva della compagnia che schernisce i tentativi a volte maldestri degli uomini alla conquista di una donna e infine la prima italiana della seconda parte dello spettacolo “Dare” dove alla coreografia si associa anche una scenografia composta e ricomposta dagli stessi performer.
Molto più movimentato e fluido il primo pezzo, come da drammaturgia della serata più lungo e corposo il secondo, con un performer che scende in platea e gioca col pubblico, di maggiore impatto visivo il terzo, tra una serie di pilastri di cartone che creano infinite combinazioni tra e coi corpi.
C'è, nella poetica di Astolfi, un flusso di ricerca continuo che va dalla Conctact improvisation di Steve Paxton ai “quadri” astratti di Sasha Waltz, passando per i movimenti fusion di Sidi Larbi Cherckaoui. La sua formazione tra gli Stati uniti e l'Europa è evidente ad ogni passo dei suoi danzatori (undici e tutti molto bravi).
Il corpo è sfruttato in ogni suo angolo e possibilità: corpi che si avvitano, si agganciano, fluiscono, si muovono come insetti, strisciano e si contorcono, sanno ironizzare sulle proprie azioni-reazioni. Nei primi due pezzi sembra un po' stereotipato il linguaggio (le donne da conquistare, spesso a terra con il maschio che si sdraia sopra, il “ti acchiappo-mi sfuggi”), che a volte rimanda a uno stile narrativo da sit-com televisive.
Il tratto più originale invece, come dicevamo, è la danza che continua anche senza la musica, con i ballerini che seguitano la performance nel silenzio assoluto, scandito solo dai loro tonfi e dai loro respiri affannati. Sembrerebbe la rottura di una nuova frontiera e probabilmente lo sarebbe se non fosse che invece il punto dolente dell'intero spettacolo è proprio la scelta della musica, a volte classica a volte futurista, quasi a echeggiare paesaggi “lunari”, che però rischia di appesantire il ritmo serrato delle coreografie, dilatando la distanza tra ciò che vediamo da ciò che ascoltiamo. Un effetto voluto?
Rosamaria Aquino 4 agosto