“Grandi pianure”: una rassegna che porta questo nome non può che rimandare a concetti di estensione ed apertura, di ampiezza solo apparentemente spaziale, perché soprattutto mentale.
A cura di Michele Di Stefano, si concentra proprio sugli sconfinati spazi della danza contemporanea e della performance sperimentale. Il corpo e la corporeità al centro e intorno il mondo, che si estende a perdita d’occhio. Ciò che gli spettacoli indagano è proprio la capacità di guardare i luoghi circostanti, analizzati attraverso esperienze di movimento inedite e coraggiose.
«Se il corpo è la vera misura di ogni confine, la postura corporea può cambiare da sola la nostra capacità di guardare il mondo», scrive infatti Di Stefano.
È in questo quadro che si inserisce “Speaking Dance”, andato in scena al Teatro India, creazione di Jonathan Burrows e Matteo Fargion: il primo è coreografo e performer inglese formatosi al The Royal Ballet School, il secondo è compositore e performer di origini italiane, docente presso la scuola di Anne Teresa De Keersmaeker a Bruxelles. I due sono in turnée insieme da sedici anni, hanno ricevuto diversi premi e toccato molti Paesi del mondo con “Speaking Dance” (2006). La performance conclude la trilogia di duetti cominciata con “Both Sitting Duet” (2002) e proseguita con “The Quiet Dance” (2005). È un’indagine sul rapporto tra danza e musica, sui confini labili che le tengono separate eppure vicine, legate dal costante bisogno di comunicare e interagire. Due mondi fragili, ma permeabili, rappresentati con humor e puntando molto sul coinvolgimento del pubblico.
“Speaking Dance” si avvale solo di due sedie e poco più (un pc, una diamonica, una piccola armonica): è una coreografia delle parole fondata su un approccio performativo inedito e molto aperto, in cui la musicalità si fonde col gesto, coi silenzi, con il canto, coi rumori (dal battito delle mani al loro sfregare al fischio) e, appunto, con le parole. Tutto è tenuto insieme con precisione estrema fino a diventare un corpus compatto inserito in una performance sempre più incalzante, una vera e propria partitura musicale di diversi ritmi e diverse velocità.
La prima parte dell’esibizione è un contrappunto di parole, una danza descritta ma non eseguita (left – right, up – down, walking – jumping, lift - stop, come on - come up).
Elemento portante dello spettacolo è sempre la ripetizione, come nella sezione ‘love’, parola pronunciata e ripetuta su musica per piano di Bach, creando anche effetti di 'eco'.
Molto divertente la sezione ‘Chicken – Yes – Come’: i tre termini vengono prima presentati scritti su tre fogli di carta, poi mentre Fargion li pronuncia (cambiandone sempre l'ordine) Burrows ne fa il gesto corrispondente, a velocità crescente.
La parte testuale più complessa è tratta da testi di Rudolph Laban, esercizi di composizione coreutica per studenti tratte dal libro “The mastery of movement”: questi estratti vengono gridati alla fine di “Speaking Dance”, sovrapponendo le due voci in modo non perfettamente sincronizzato.
Accanto a parole e suoni c'è anche il movimento: essenziale, sporco, minimo. Questi brevi momenti di danza eseguiti da Burrows vengono accostati a canzoni popolari italiane eseguite da Fargion. Sembra quasi un gioco infantile tra due compagni di scuola. L'elemento ludico è parte integrante dello spettacolo, che trae molta forza proprio dalla sintonia tra i due, che viene percepita dal pubblico e in questo modo lo fa sentire partecipe di ciò che avviene in scena.
Estremamente complici, Fargion e Burrows portano in scena qualcosa di essenziale, senza pretese e senza intellettualismi. È una comicità sottile la loro e il pubblico ne coglie l’inusualità e insieme la forza, perché se è vero che quello che va avanti per quasi un’ora è un fiume di parole alternato da filastrocche, musica, rumori e silenzi, è vero anche che in questi 45 minuti di performance si coglie il bisogno di comunicare, di capire e farsi capire, di costruire un’empatia. E il successo dello spettacolo sta proprio nel riuscire ad instaurare un’interazione performer – performer e performer – pubblico basata su elementi essenziali della comunicazione (parole brevi, ripetizione e gesti): e la sintonia non si scioglie nemmeno nei momenti di voluta e ponderata asincronia.
Giuseppina Dente
05/07/2018