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Il suono della bellezza: da Rossini a Spellbound Contemporary Ballet

Mangiare e amare, cantare e digerire: questi sono in verità i quattro atti di questa opera buffa che si chiama vita, e che svanisce come la schiuma di una bottiglia di champagne. Chi la lascia sfuggire senza averne goduto è un pazzo”.

La celebre frase, attribuita a Gioacchino Rossini (Pesaro 1792 – Passy 1868), riassume lo stile del “bon vivant à l’italienne”, com’era conosciuto il compositore. Persino il suo contemporaneo Stendhal, l’illustre scrittore e intellettuale francese, decise tra il 1823 e il 1824 di redigerne un libro - “Vie de Rossini” -, quando l’operista era ancora in vita. Una consacrazione che non ha atteso la morte, come invece è avvenuto, e avviene ancora, per tante personalità geniali dell’arte. Un ritmo brillante che non perde leggerezza pur rispettando gran parte delle regole compositive degli autori del ‘700 italiano, il lavoro di Rossini s’inserì nel filone nato a Napoli e poi esportato, da Roma, a tutta la Penisola e oltre i suoi confini, definito “buffo”, contraltare dell’“opera seria”, quella introdotta dallo stile più solenne di Alessandro Scarlatti.Rossini01

Mauro Astolfi, il direttore artistico di Spellbound Contemporary Ballet, dipinge il ritratto di Rossini con le più conosciute “ouvertures”, motivi di fama mondiale che il nostro orecchio riconosce al primo ascolto, da “La Gazza Ladra” a “L’Italiana in Algeri” sino a “Il Barbiere di Siviglia” e “Guglielmo Tell”. Il Teatro Vascello di Roma accoglie così i nove interpreti danzatori di “Rossini Ouvertures” – dopo il debutto, in prima mondiale, al Teatro Rossini di Pesaro.
Tra il teatrodanza, con una drammaturgia sottesa alla coreografia, che illumina la personalità dell’autore nei suoi momenti di vita, e una tecnica forgiata da una lunga permanenza di Astolfi negli Stati Uniti, da cui si riconoscono tocchi di modern e postmodern dance (come il contatto tra i corpi e i gesti abituali che vanno dal mangiare, al camminare, al dormire), la pièce ridà vita all’ironia, alla sensualità, al gioco con cui Rossini è stato amato e descritto dai contemporanei dell’epoca.

Luci accese e sipario abbassato, una figura nera, senza volto, striscia sul pavimento e trafuga una borsa piena di cibo. Poi se ne va, scivolando sotto il tendone, e un giovane Rossini avanza, fiondandosi su una mela. Un preludio della morte che lo coglierà a 76 anni, dopo aver goduto delle storie d’amore, dei migliori vini e della migliore cucina a cui l’Italia l’aveva abituato. La sua vita, tra il nostro Paese e la Francia, dove trascorre i suoi ultimi anni, è ballata sul palco ricreando relazioni tra amici e amanti e momenti quotidiani (una festa, il corteggiamento, un banchetto, la malattia, la sfida e la competizione amorosa, l’ubriachezza), su note che sviluppano i movimenti in parallelo agli accenti musicali, con un buon compromesso tra la grazia del ballo e l’imperfezione del reale. Le donne sono oggetto di desiderio ma anche fonte di guai, furbe e languide, attirano e inseguono. Gli uomini rincorrono, a volte evitano. I corpi scivolano uno sull’altro, s’intrecciano come un rituale d’amore. La scenografia è una parete scomponibile, fatta di “cassetti giganti”, che si aprono e si chiudono, come le possibilità della vita, in cui si nascondono ballerini o si affacciano alla scena. Rossini è un giovane tra un gruppo di amici, alle prese con le vicende che noi tutti conosciamo, tra donne, piaceri e peccati veniali, piccoli scontri e momenti di pace e di festeggiamenti. Non il grande compositore, ma la personalità umana, un elogio al piacere e, guardando più in là, anche all’Italia, la sua culla e una nazione che, almeno in passato, guardava alla bellezza come necessaria nelle più piccole Rossini03concrete espressioni umane (il cibo, il gusto, i manufatti) fino all’arte (“le Belle Arti” e “il Bel Canto”). 

Il cancro, che per Rossini sarà la morte, è una presenza scura che lo toccherà, si insinuerà tra gli arti e le membra nel letto e se lo porterà via, inghiottendolo in un tunnel bianco. Ma sul palco risuona ancora la vita della sua musica, tanto che la scelta di Mauro Astolfi e del suo Spellbound Contemporary Ballet sembra esser stata la migliore possibile: rappresentare, con l’arte della danza, attimi e temperamento quotidiani di un uomo che aveva la saggezza di essere un bon vivant - poiché quello che è godibile è transitorio - mentre componeva ciò che, se è autentico, rimane eterno: il suono della bellezza.

Agnese Comelli  27/03/2017

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