“One, One & One”, il nuovo lavoro dell’acclamata coreografa e danzatrice israeliana Noa Wertheim creato per la Vertigo Dance Company, ha aperto il "Fuori Programma". Il Festival Internazionale di Danza del Teatro Vascello vede la direzione artistica di Valentina Marini e quest’anno, più che mai, punta ad un’edizione di valore, con due prime nazionali, due prime regionali, una prima romana e un debutto assoluto.
“One. One & One” (prima nazionale in partnership con Civitanova Danza Festival) segna per la Vertigo Dance Company il suo debutto a Roma. La compagnia, fondata da Noa Wertheim e Adi Sha'al (suo partner di vita e di danza), è da 25 anni un esempio di professionalità ed eccellenza, riconosciuta dal Ministero della Cultura e delle Attività Sportive Israeliano come ambasciatrice dell'Arte performativa israeliana nel mondo.
La coreografia simbolizza la connessione, il coinvolgimento, punta al contatto, all’avvicinamento tra il vicino e il lontano, tra il sé e l’altro. È un dialogo, che si apre con un solo danzatore in scena a cui poco alla volta se ne aggiungono altri otto: da uno a molti, da individualità a molteplicità. In totale sono quattro donne (Liel Fibak, Nitzan Moshe, Shani Licht, Corina Fraiman) e cinque uomini (Etai Peri, Hagar Shachal, Jeremy Alberge, Petrovics Sàndor, Totam Baruch). La musica (di Avi Belleli) fa da collante e ogni suono è fondamentale per il raggiungimento dell’interezza. Il primo suono che colpisce le orecchie è un rumore come di terra smossa con le mani, a cui seguono i tuoni e un temporale. Elementi naturali, dunque, che diventeranno via via musiche sempre più complesse.
I danzatori fanno esplodere tutta la loro corporeità, sia quando si muovono singolarmente sia quando sperimentano il contatto con l’altro: si piegano, si contraggono, si allungano, si accartocciano. C’è sempre grande controllo nel movimento, anche quando, come schegge impazzite, corrono sul palcoscenico o saltano l’uno addosso all’altro. In questi ultimi due casi non è necessariamente la donna ad essere sollevata o presa in braccio, come insegnano i dettami della danza classica. C’è spazio per assoli, passi a due e momenti di danza corale: ciascun danzatore è parte integrante della performance, dove l’insieme che si va a costituire è molto più della semplice somma dei suoi singoli elementi.
Si percepisce la loro urgenza di conoscere se stessi e l’altro e si muovono con consapevolezza e agilità. Trasmettono, con grande espressività, un sentimento di primordialità e spiritualià, un bisogno estremo di contatto, un’urgenza comunicativa, tutte prerogative profonde dell’essere umano.
La scena viene lentamente ricoperta di terra: prima una sola striscia, parallela alla platea, poi una seconda, anche questa una riga orizzontale, poi i ballerini ricoprono tutto il palcoscenico con secchiate di terra in cui rotoleranno, su cui scivoleranno, terra che sporcherà la loro pelle e i loro vestiti. È un recupero della dimensione più intima e personale, dell’essenza più naturale dell’essere umano: questa dimensione dell’individualità si incontra e scontra con quella dell’unità sociale, indagando la complessità di questo labile equilibrio.
Giuseppina Dente
12/07/2018