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“Le Parc”, l'abbandono ai sentimenti è la massima aspirazione dell'Amore

“Questo Amore così violento, così fragile, così tenero, Così disperato [...] E così beffardo, tremante di paura come un bambino al buio, così sicuro di sé come un uomo tranquillo nel cuore della notte”. Impossibile che non tornino alla mente alcune parole di Jacques Prévert vedendo un'opera come “Le Parc” di Angelin Preljocaj.
Al Teatro del Teatro dell'Opera di Roma è arrivato per la prima volta il lavoro più noto del coreografo franco-albanese che, nel 1994, portò una ventata di freschezza sul palcoscenico dell'Opéra National de Paris. Con lo stesso fermento arriva anche nella capitale un balletto che parla soprattutto d'amore, senza scadere in retoriche definizioni di sentimentalismi da favola o nei più tragici epiloghi shakespeariani di «piaceri che muoiono nel proprio trionfo».
Ad oltre vent'anni dalla sua prima rappresentazione, il giardino in cui ci conduce Preljocaj continua ad essere prima di tutto un luogo in cui a germogliare è il sentimento fra un uomo e la donna che resiste all'atto stesso LeParc1di amare.
Nuovo e antico, codici raffinati e contemporaneità, capricci mondani e sentimenti autentici, “Le Parc” è tutto costruito su delle contrapposizioni che creano equilibri tanto armonici da essere 'come musica'. Il primo atto inizia a raccontare l'incontro tra i due protagonisti che quasi si confondono tra gli altri personaggi, tutti in abiti settecenteschi. Fra dame e cavalieri non c'è inizialmente distinzione di costume, indossano vesti maschili e hanno i capelli raccolti con un nastro. Le due parti si fronteggiano e è tutto pensato nell'idea del “gioco” attraverso cui fare una scoperta. Il linguaggio classico si colora di movimenti più moderni in cui si dà risalto soprattutto alle braccia e alle mani coinvolte in precise sequenze che tendono a ripetersi, ordinatamente.
Il balletto però si apre e si chiude su quattro figure che, insieme agli interpreti principali Eleonora Abbagnato e Stéphan Buillon, rappresentano dei demiurghi del sentimento amoroso. Giacomo Luci, Alessio Rezza, Marco Marangio e Antonio Mastrangelo sono i quattro interpreti a cui è affidato il ruolo dei giardinieri. Forti, decisi e sicuri di sé, guidano la protagonista nei sentieri di questo viaggio tutto romantico, nonostante il loro aspetto un po' enigmatico. Quattro figure di netta rottura rispetto all'intero balletto che accompagnano - quasi fuori dal tempo e dallo spazio - l'amata, ad amare a sua volta.
Nel secondo atto le donne acquistano più femminilità; entrano in scena con abiti pomposi e grandi cappelli, come autentiche damine che con inchini e sospiri, ricordano qualche goffo personaggio goldoniano. Torna il tema del gioco: stavolta ci si nasconde dietro agli alberi tanto stilizzati che Thierry Leproust ha realizzato per il balletto. Il desiderio, in cui sono le donne a prendere l'iniziativa, inizia a manifestarsi in maniera sempre più esplicita nel progressivo privarsi di quegl'abiti ingombranti. Sono tanti, diversi, passionali gli atti d'amore che si consumano all'ombra di quei sentieri.
Onirica e sognante è tutta l'ultima parte della coreografia in cui si raggiunge finalmente l'abbandono ai sentimenti e in cui si assiste al più atteso pas de deux leparc5dell'intero balletto. Ogni atto in realtà si chiude con i due interpreti principali coinvolti nella loro - sempre più intima e più personale – danza. Ognuno di questi momenti ha in comune con gli altri, non solo un diverso concerto per pianoforte e orchestra di Mozart, ma l'individuale (e graduale), presa di coscienza amorosa. Il primo dei tre non sembra essere nemmeno un vero passo a due: ognuno si muove da solo a prescindere dalla presenza dell'altro. Ma man mano che la passione si fa più intensa, c'è sempre più prossimità tra i due amanti i quali arriveranno a non poter più distogliere lo sguardo l'uno dall'altra. Inutile dire che il momento più alto di tutta l'opera di Preljocaj è l' “Abbandono”, in chiusura dell'opera. Solo ora i contatti diventano veri, autentici, carnali. Passano per la pelle tutti i brividi di un corpo appagato dal piacere – dannunziano - che «nessuna parola umana potrà mai descrivere».
Non è facile oggi riuscire a parlare ancora di certi “argomenti” , né è facile continuare a commuovere un pubblico che alla fine della rappresentazione, prende i fazzoletti dalla borsa per asciugarsi gli occhi.
Servono forte tecnica e grandi capacità interpretative per portare in scena qualcosa come “Le Parc” e ai danzatori del TORballo non è mancato proprio nulla. Giovane, “fresca”, determinata è la compagnia che in questa nuova stagione, proposta dopo proposta, sta tirando fuori il meglio di sé.

Laura Sciortino 09/05/2016

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