“I look for fragility in people. Make peace with your own is the secret of happiness. One of the things i find most beautiful in aging is that my eyes see much more beauty in others”, Wolfgang Tillman.
“Fragile” è il titolo dello spettacolo di danza contemporanea e danza aerea su tessuto andato in scena al Teatro Furio Camillo il 20 maggio scorso. Ideato dalla coreografa e danzatrice Anita Brandolini, questo solo a più dimensioni ha lo scopo di avviare una riflessione sul concetto di fragilità, tabù di un’epoca in cui siamo continuamente spronati a mostrarci forti, vincenti, accattivanti. Affidandosi solamente al proprio corpo, accompagnato dell’elaborazione sonora di Tommaso Rosati, e muovendosi in un palco spoglio, quasi inospitale, l’autrice vuole mettere in evidenza come la fragilità esprima al contrario la parte più autentica di noi, riconoscendo alla capacità di vedere nella propria debolezza l’occasione per una più ampia e umana comprensione di sé e nel riconoscere in quella altrui un potente strumento di condivisione.
Questa condivisione è cercata dalla Brandolini fin dall’ingresso in sala degli spettatori, lei già al centro della scena illuminata che saluta timidamente e guarda negli occhi il pubblico che entra. Un contatto sempre richiamato e ricercato, fino anche ad arrivare a stringere le mani delle persone in prima fila. Scopo della danzatrice è coinvolgere gli spettatori, renderli “co-responsabili di quello che accade qui e ora, vivi e vigili tutti perfino dalla seggiola da cui s’osserva, senza paura di agire ed esporsi, senza autolegittimare la propria inerzia o il mancato contributo, la mancata partecipazione attraverso il timore di essere fuori posto, di fare o dire qualcosa di sbagliato. Smettere così di assuefarsi all’idea che la vita che scorre quotidianamente intorno ed in noi sia soltanto un altro dei tanti set in cui sentirsi passanti/spettatori o al limite timide comparse”. Questo avviene soprattutto nella parte iniziale di uno spettacolo che si articola in tre momenti fondamentali: il primo in cui la luce è accesa sia in sala che sul palco, in cui più forte avviene questa comunicazione tra performer e pubblico; il secondo in cui la luce in sala si spegne, riportando lo spettatore in una condizione più intima di osservatore, ma non per questo meno coinvolta; e il terzo, in cui la Brandolini abbandona il pavimento del palcoscenico per dare inizio alle sorprendenti involuzioni della danza aerea su tessuto.
L’impressione è quella di assistere a una vera e propria metamorfosi: un corpo prima inchiodato a terra, i piedi giunti indivisibili, che cade pesantemente e si rialza a fatica, si trasforma alla fine in un corpo leggero, incredibilmente sospeso a mezzaria, legato solo per un polso o una caviglia a una lunga striscia di tessuto nero che pende dal soffitto. Ci accorgiamo, al fine, che questo corpo non è fragile, anzi espressione di una potenza e di una forza non indifferenti, quasi magiche e divine, capaci di affascinare uno spettatore, che si sente, in quel momento, fragile di fronte a tanta travolgente fisicità.
Gianluca De Santis 27/05/2016