Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

#Black 2.0: il buio solitario e imperscrutabile della nostra contemporaneità

Il nero, quello profondo e impenetrabile del buio: è lui il protagonista assoluto di “#Black 2.0”, la coreografia corale di Michele Pogliani andata in scena il 27 e il 28 giugno al Teatro India di Roma nell’ambito dell’edizione 2016 de “Il teatro che danza”. La rassegna, definita dal direttore del teatro Antonio Calbi come una “finestra aperta alla creatività che usa il corpo, alle plurali forme della performance di oggi, alle nuove forme del teatro danza, del teatro fisico, del teatro dei corpi e dell’azione” ha proposto a partire da gennaio il meglio della scena internazionale e le novità più interessanti del panorama italiano.
Lo spettacolo di Pogliani appare come la perfetta sintesi del percorso formativo e delle esperienze di questo coreografo e danzatore, con influenze che vanno da maestri del moderno come Merce Cunningham, Childs, Wilson al balletto Black4classico. Dieci i ballerini in scena: Verdiano Cassone, Riccardo Costanzi, Sara D’Amico, Mattia Fazioli, Stefania Magliocca, Elena Martello, Marianna Sanchini, Paolo Spalice, Maria Pia Taggio e Gabriele Montaruli che, insieme a Lorenzo Schiavo, ha collaborato con Pogliani alla realizzazione delle coreografie. Queste cinque donne e questi cinque uomini si alternano sul palco, si mischiano, rimangono in pochi, in due, in tre, soli: sempre circondati dal nero, che è insieme sintesi di tutti i colori e loro completa negazione. Pochi e fugaci i contatti tra corpi e individui, espressione di un’epoca, dice Pogliani, “dove intere generazioni si nascondono dietro cellulari ultimo modello e i social network sembrano diventati vita reale”.
Quello dell’autore è uno sguardo impietoso sul presente, ma anche lucida anticipazione di un futuro tremendo e apocalittico quanto quello distopico del “Mad Max” di George Miller, solo più cupo e disperato, meno lontano è più drammaticamente vicino. Un presente/futuro in cui “qualsiasi felicità possediamo sembra dover essere tenuta nascosta” e dove “sembra più lecito nascondere i meriti che i propri difetti”. Quest’atmosfera estrema e claustrofobica si riflette nei costumi punk di Tiziana Barbanelli, nei pezzi di musica classica e contemporanea che accompagnano i diversi momenti dello spettacolo. Il tutto racchiuso in uno spazio indefinito e senza coordinate dove il nero diventa uno strumento per nascondere se stessi agli altri, una fitta cortina attraverso cui si può solo intravedere il magmatico mondo che si nasconde dietro. È così, infatti, che riusciamo a cogliere, in tanta oscurità, un cuore rosso disegnato su una maglia bianca: sofferente, certo, ma pur sempre vivo e pulsante.

Gianluca De Santis 04/07/2016

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM