Giselle – ballet pantomime in due atti di Jean Coralli e Jules Perrot su musica di Adolphe Adam - rappresenta l’apogeo del balletto romantico. Dal 1841, quando debuttò sulla scena del Théâtre de l’Opéra di Parigi, ha conosciuto un successo senza fine. Da sempre nel repertorio delle più importanti compagnie, è stato oggetto di numerose rivisitazioni coreografiche, in genere determinate da un processo di attualizzazione drammatica improntato al realismo. Differente è la rilettura compiuta dai coreografi Itamar Serussi Sahar e Chris Haring per il Balletto di Roma, in scena al Teatro Vascello fino al 3 marzo. Il libretto è stato sottoposto a un processo di decostruzione – coordinato dalla dance dramaturg Peggy Olislaegers - che ha liberato dagli snodi drammaturgici due elementi chiave del capolavoro romantico: l’amore e la vendetta. Il balletto, privato di un soggetto narrativo vero e proprio, esplora i due sentimenti nella loro essenzialità formale ed emozionale, protagonisti assoluti su una scena completamente spoglia, espressioni di un sentire comune a tutti i corpi dei danzatori. Anche la musica di Adolphe Adam è decostruita e rielaborata dai compositori Richard Van Kruysdijk e Andreas Berger, i quali realizzano un collage sonoro composto da elementi di musica elettronica, concreta e d’ambiente, da registrazioni vocali (esclusivamente nel secondo atto) e da brevi accenni ai leitmotiv della musica di Adam.
La scelta di affidare la creazione a due coreografi dalle differenti identità artistiche è nuova ma, in un certo senso, in linea con il dualismo che caratterizzò Giselle sin dal debutto: due coreografi, Coralli e Perrot; due librettisti, Théophile Gautier e Jules-Henry Vernoy de Saint-Georges; due atti, il primo in un villaggio e il secondo in una foresta; due stili, la vivacità pantomimica del ballet d’action e la purezza della danza accademica.
Il primo atto porta la firma del coreografo israeliano Itamar Serussi Sahar, coreografo residente al Scapino Ballet, e rappresenta l’innamoramento in tutta la sua spensieratezza e sensualità con una coreografia all’insegna della potenza fisica. Dell'archetipo ottocentesco ritroviamo un’alternanza di assoli, passi a due e momenti d’insieme e la dimensione terrena, piena di vita e ricca di colore grazie a un intenso gioco di luci. I nove danzatori, con indosso costumi minimali color tinta carne, tessono relazioni senza la necessità di un contatto fisico ricorrente, accentuando così la tensione che vige tra i loro corpi. I movimenti sono sinuosi e fluidi. Gli inarcamenti della schiena, ampi e profondi, esprimono la forza travolgente dell’amore. Le posizioni estreme off-balance sottolineano la vulnerabilità e l’incertezza di chi ama. Quello di Serussi Sahar è un alfabeto coreografico contemporaneo che al suo interno incorpora elementi del vocabolario classico – attitude, arabesque, cabriole, grand jeté –, un richiamo esplicito, seppur sporadico, alla tradizione accademica.
Il secondo atto è coreografato dall’austriaco Chris Haring, Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 2007. Il sentimento rappresentato è quello della vendetta, della rivalsa di una donna su un uomo, ma anche di un uomo su di una donna perché nella coreografia di Haring i due generi si alleano per difendere la purezza dell’amore. Del balletto romantico Haring riprende la dimensione corale del corpo di ballo - qui declinata nella presenza di dieci danzatori - e l’atmosfera ultraterrena, accentuata dal fondale nero e dalla penombra. Il coreografo, per non perdere completamente il legame con la versione originale, ricorre a due espliciti riferimenti. Il primo consiste in una registrazione vocale che spiega la storia delle Villi: donne morte a causa di una “relazione sbagliata” che per alleviare l’eterno dolore si vendicano uccidendo gli uomini. Il secondo richiama un passaggio distintivo del secondo atto, ossia il fluttuare delle Villi in arabesque. Tuttavia questo elemento coreografico, liberato dalla leggerezza che connotava la versione romantica, è caricato di una gravità che sottolinea la pesantezza della vendetta. Peculiarità del linguaggio coreografico, prettamente contemporaneo, è l’impiego dell’iterazione che carica le azioni dei danzatori di grande forza espressiva per esprimere l’inarrestabile sete di vendetta che affligge le Villi. Tra questi movimenti vi sono la camminata, contraddistinta da un viscerale movimento del busto, e la sequenza di cadute e risalite che riporta alla mente la teoria "fall and recovery" di Doris Humphrey.
Nel proporre un’indagine coreografica sui temi che hanno reso Giselle un classico senza tempo, la versione del Balletto di Roma apre un inedito immaginario sul “balletto perfetto” - come lo definì Vittoria Ottolenghi. L’operazione di Serussi Sahar e di Haring rivela l’infinito potenziale del libretto che, con i suoi elementi paradigmatici, continua a essere fonte d’ispirazione per riletture meno convenzionali. La compagnia supera con successo la sfida di confrontarsi con un caposaldo ballettistico, rivelando un alto livello tecnico, una totale sinergia e soprattutto un’incredibile qualità di movimento che rappresenta un elogio alla bellezza del corpo umano.
Silvia Mozzachiodi 27/02/2019