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Attrazioni e repulsioni. Le “Ballades” dei Fabula Saltica

A quasi due mesi dalla scomparsa di Ettore Scola, il palcoscenico del Teatro Parioli Peppino De Filippo torna a ricordarlo con “Ballades”, lo spettacolo della Compagnia residente presso il Teatro Sociale di Rovigo, “Fabula Saltica”. Sono ispirate a “Ballando ballando” le coreografie di Claudio Ronda, film del 1983 con Étienne Guichard e Régis Bouquet. Donne e uomini entrano in scena come i protagonisti della pellicola che uno alla volta si fanno spazio nella sala da ballo. Le luci in platea sono ancora accese, i danzatori si confondono con abiti comuni tra gli spettatori che aspettano l'inizio della rappresentazione. Si alzano dalle poltrone dei soggetti un po' appariscenti, con pellicce, occhiali da sole e fiori all'occhiello. Sembrano incuriositi. Ma chi sono quelle persone che vanno verso il palcoscenico? Qualcuno di loro tira fuori un cellulare, una donna cammina con fare barcollante: ad uno ad uno salgono tutti sul palco finché le luci finalmente si spengono e parte la musica.
“Ballades” è una successione di danze che si palesano attraverso il movimento, gli interpreti, in una sequenza di momenti diversi che si sommano gli uni agli altri per autoevocarsi. La tante coreografie infatti sono tutte costruite sul senso di un corteggiamento, non è importante a chi si fa la corte perché ogni volta si entra in un personaggio diverso che cambia, trasgredisce, si trasforma. C'è sempre una danza a due infatti, i corpi si relazionano a coppie anche quando fanno parte di un insieme. C'è un continuo rimbalzo dall'attrazione alla repulsione fra l'uomo che tenta di conquistare la “preda” e la donna che acconsente, asseconda e domina quel gioco di seduzione.
C'è un elemento che non esce mai di scena e che al contrario diventa componente fondamentale della coreografia; la sedia si prende, si sposta, la si muove con delicatezza o con forza estrema tanto da scandire il tempo con un ritmo deciso. Ma questa continua “presenza” ingombra un po' il palcoscenico e grava sulla coreografia che sembra ripetersi proprio perché non cambia mai l'elemento intorno al quale è costruita. Forse la rappresentazione avrebbe dovuto mantenere solo alcuni di questi momenti, l'alternarsi di “con e senza” sedia per danzare, avrebbe alleggerito la sequenza, l'avrebbe resa “più libera” registicamente.
Le diverse tensioni emotive, le passioni e gli amori fuggevoli, si definiscono nell'andatura sensuale del tango, nel tempo ternario del valzer ma anche nei retaggi di quel moderato ritmo di mazurka. Paolo Zambinelli ha dato vita alle musiche che attingono dalla tradizione ma che si arricchiscono dell'influenza del rock e del jazz soprattutto. Nasce così qualcosa di novo su cui è possibile però riconoscere un modello.
Tecnicamente sono un po' deboli quei danzatori che non sempre stendono le punte dei piedi o si muovono all'unisono, molto forte invece, la ballerina che inizialmente inganna il pubblico cadendo dalle scarpe col tacco, ma poi, grazie alle belle linee sempre tenute, riesce a distinguersi anche quando, da sola, si scontra e affronta due uomini.
In questa danza dove ognuno è solo nella ricerca di qualcosa che pungoli, di stimoli, il torpore delle cose comuni, ognuno cerca di sopravvivere a quel vuoto interiore che lo pervade.

Laura Sciortino 08/03/2016

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