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Aprile in danza: con la primavera a Roma fiorisce la danza contemporanea


Si è conclusa il 7 aprile scorso la rassegna di danza d’autore “Aprile in danza” che la Capitale ha ospitato con un trittico in cui la danza contemporanea è stata protagonista assoluta mostrandosi nelle sue forme più autentiche.

Il primo appuntamento dell’evento a cura di Luca Aversano, giunto già alla sua seconda edizione, ha visto alternarsi sul palcoscenico del Teatro Palladium le suggestive “Pulsazioni” della “Compagnia Excursus” diretta da Ricky Bonvita e Theodor Rawyler. Tra i chiaroscuri di luci e ombre (realizzati da Danila di Blasi), le linee perfette dei cinque danzatori in scena regalano al pubblico un sogno ancestrale e un ritorno alla purezza e alla plasticità delle forme classiche. Si tratta di un messaggio importante proprio in un momento in cui la cultura classica e il culto per l’antico si è quasi perso del tutto. È questa un’eredità preziosa che, invece, deve continuare a “pulsare”, come suggerisce il titolo dello spettacolo, nella nostra mente e nel nostro corpo, al fine di vivere il presente con maggiore consapevolezza. Gli assoli di straordinario lirismo e i duetti amorosi, a tratti introspettivi, sono interpretati da due danzatrici e tre danzatori, i cui costumi (di Daniele Amenta e Yari Molinari) semplici e neri riconducono a una certa sobrietà, in linea con il neoclassicismo che connota l’intera serata. I loro movimenti scolpiscono vere e proprie bellezze architettoniche della nostra contemporaneità, costruite sulle musiche classiche di Bach, Debussy, Saint-Saens e Rachmaninoff. Pianoforte e violini sono il percorso da intraprendere per raggiungere la sintesi poetica del movimento nella sua evoluzione che viaggia a intermittenza su un tessuto di continuità e rottura rispetto al passato. La letteratura gioca un ruolo pari a quello ricoperto dalla danza e dalla musica, grazie ai preziosi interventi poetici di Ugo Bentivegna, che ha curato la scelta delle letture che accompagnano le coreografie. Co-regista dello spettacolo insieme al coreografo Ricky Bonvita interagisce con lo stesso in alcuni momenti dei suoi assoli. Infatti, lo storico direttore della compagnia non esita a donarsi ancora al suo pubblico con immensa generosità. Nel testo corografico sono ben leggibili le tecniche principali della danza contemporanea americana (di cui egli è tra i principali depositari in Italia) ma senza mai tradire gli schemi classici, tanto che gli assoli femminili sono quasi sempre danzati sulle punte. Allo stesso modo non viene limitata l’espressività del corpo che da sempre contraddistingue la sua ricerca stilistica e che viene estremizzata dai movimenti articolati delle mani del coreografo, dalle curve e dalle linee disegnate dalle sue braccia e dall’intensità degli sguardi.Aprile2

La rassegna continua passando dagli estratti neoclassici di Bonavita, tanto fedeli alla tradizione italiana, allo spettacolo “Je(u)” (letteralmente: io gioco,suono, interpreto) in una ricerca contemporanea tipicamente nord-europea. Qui per la prima volta il danzatore, completamente solo in scena, diventa anche autore di se stesso. È il risultato di un vero e proprio lavoro di concerto tra l’interprete Mikael Marklund e il regista Laurent Chétouane. In soli quaranta minuti di performance il ballerino francese costruisce la coreografia attraverso movimenti primitivi e comuni a tutti gli esseri umani come la camminata, la corsa, il salto. La semplicità degli elementi coreografici possiede un qualcosa di animalesco che rimanda alla natura. Fortemente influenzata dall’espressionismo e dal teatrodanza tedesco di Pina Bausch, l’esibizione risulta caratterizzata principalmente dall’umanità del gesto che si propaga nel silenzio. La sola base musicale è, infatti, il respiro del danzatore. Le possibili esperienze del corpo umano vengono esplorate attraverso la proiezione dello stesso nello spazio in tutte le sue dimensioni. La reiterazione delle sequenze sottolinea la materialità del rapporto tra corpo e movimento in cui il primo risulta completamente liberato dal secondo.Aprile3

Si torna al connubio tra passato e presente con “Saknes” di Benedetta Capanna, allo stesso tempo danzatrice e coreografa delle sue radici. Le proprie origini e il ricordo della nonna paterna Mirdza Kalnins, straordinaria ballerina lettone, sono protagonisti assoluti dell’ultima serata della rassegna. Lo sguardo della nonna sembra seguire dolcemente la danza della nipote, scrutandola dalle numerose fotografie che tappezzano la scenografia. Le immagini in bianco e nero della donna, sistemate su un legìo in un angolo del palcoscenico, accompagnano i movimenti ariosi della danzatrice in una strettissima correlazione tra futuro e memorie. Tra le due donne si può notare una fortissima somiglianza che trapela da un commovente video dell’ava proiettato alla fine dello spettacolo. L’analisi della coreografa si è svolta tra l’Italia e la Lettonia attraverso un lavoro di ricerca coadiuvato, oltre che dal materiale cartaceo e multimediale recuperato in Lettonia, anche dall’interesse a scoprire un legame spirituale che ha unito nonna e nipote, sebbene appartenenti a luoghi e tempi differenti. “Si può dire che io non abbia mai conosciuto mia nonna che se ne è andata poco dopo la mia nascita” dice la danzatrice “ma ho sempre sentito che c’era qualcosa che ci accomunava. Ne sentivo parlare continuamente, specie in relazione alla nostra somiglianza, e attraverso le mie ricerche su di lei ho scoperto che era vero. Pur essendo partita dalla danza classica, come me, ha sentito l’esigenza di comunicare la sua freschezza e la sua gioiosa espressività attraverso linguaggi profondamente innovativi per il suo tempo e squisitamente contemporanei”. La coreografia risulta estremamente sensoriale grazie al fondamentale contatto col suolo e con l’aria. Elementi naturali come la terra e l’acqua vengono percepiti attraverso la musica nella quale risuona il suo stesso respiro. Il costume color cipria dalla gonna ampia e morbida indossato dalla danzatrice ben si presta alle vivaci e quasi primitive incursioni folkloristiche che vengono mescolate alla fluidità degli altri movimenti. Lo spazio, la memoria, le esperienze si incontrano in un duplice piano temporale che solo la danza è in grado di unificare. La morte è qui intesa come rinascita e il ricordo nel tempo segue il ciclico susseguirsi delle stagioni che ritornano sempre alla stessa primavera.

È una continua fioritura che fa sbocciare la danza e che si spera si replichi ancora nella prossima stagione di questo piccolo teatro nel cuore della Garbatella.

Roberta Leo 14/04/2017

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