«La visione di questo spettacolo è consigliata ad un pubblico di soli adulti. Sono presenti scene di nudo». Inizia così lo spettacolo “Corpus Hominis”, seconda tappa della trilogia “ode alla bellezza” di Enzo Cosimi, da quella scritta affissa fuori la porta. Solo un divieto o un intimidazione? Difficile dirlo prima di una prima assoluta. E non basta la presentazione sul programma del Festival per riuscire a immaginare cosa avrà tirato fuori questa volta uno dei coreografi più riconosciuti del panorama italiano. In occasione di Danza Urbana, Bologna accoglie un lavoro che mischia l'umanità alla perversione, la fragilità alla furia incontrollabile, il delirio alla più spietata logica.
La galleria della Dynamo Velostazione assomiglia un po' a un luogo infernale, non solo perché all'ingresso si trova quel cartello che fa un po' reminiscenza dantesca alla «lasciate ogne speranza, o voi ch'intrate», ma anche perché è un luogo buio, umido, stretto. Gli spettatori camminano compatti e anche un po' impauriti dal fatto che «non si vede assolutamente niente» e nessuno sa dove andare.
Poi una luce, flebile ma per certi versi quasi rassicurante, porta lo spettatore direttamente dentro questo processo di progressiva scoperta.
Dal nero in cui tutto è immerso, iniziano a distinguersi due uomini, uno più giovane e l'altro più anziano. Nudi. Completamente. Uno illumina, con la sola luce di un cellulare, l'altro. Poi il “gioco” si scambia e colui che era in luce, torna in ombra “svelando” chi si nascondeva dietro il piccolo “faro”. Sembra, per certi versi, di essere davanti a un moderno dipinto caravaggesco con questa costante tendenza al chiaroscuro che rende tutto più drammatico. E come i soggetti dei quadri in cui il contrasto non è dissonante ma complementare, anche Matteo Sedda e Lino Bordin, i due performer, si muovono in questa scena notturna illuminata solo da una scarsa fonte di luce. Un meccanismo al quale non mancherà neanche lo stesso Cosimi, la cui presenza è come un'assenza, perché partecipa a questa “danza di luci” senza rivelarsi mai.
Uno spettacolo molto forte per l'intensità con cui il coreografo ha scelto di parlare al suo pubblico. Le persone che assistono alla rappresentazione, infatti, non sono molte perché lo spazio angusto in cui è stato portato in scena il suo “Corpus Homini”, può accogliere a ogni replica un numero limitato di spettatori. E se da una parte ci sono ragioni legate alla capienza effettiva del luogo della rappresentazione, dall'altra è il senso stesso dello spettacolo ad esigere qualcosa di estremamente intimo e privato. Cosimi, con questa performance, indaga non solo sul concetto di omosessualità, ma sull'omosessualità vissuta da figure emarginate e rifiutate a causa di tutti quei simboli sociali precostituiti. Cosa succede quando il rapporto si consuma tra due uomini che provengono da generazioni diverse? Chi è disposto ad accettare l'immagine di un corpo consumato dal tempo che travolge la freschezza - e forse l'innocenza – di un giovane? «Esiste anche questo» sembra dirci Cosimi, esiste anche un'altra faccia della realtà che spesso resta nascosta dall'apparenza, a metà tra quello che deve essere e quello che effettivamente è.
Il coreografo sfrutta tutti mezzi a sua disposizione, oltre la danza, per farsi portavoce di un messaggio; la rappresentazione, infatti, si realizza anche con il supporto di una voce narrante che rivela il vero senso di alcune scelte e con la proiezione di un video che assume una propria, indispensabile, funzione drammaturgica.
Tra le scene più suggestive – e in questo spettacolo ce ne sono davvero tante - il momento che ricorda l'immagine de “La Pietà” di Michelangelo. Il giovane tiene in braccio l'anziano come la Madonna, giovane e bella, simbolo di purezza. Anche qui nessun segnale di sofferenza, si è voluto piuttosto esaltare gli ideali di bellezza legati a un corpo atletico, robusto e vigoroso che tiene in grembo un uomo steso. Alla stessa maniera di Michelangelo, anche Cosimi non ha voluto rappresentare la morte, i segni del dolore, ma il senso di un abbandono totale, assoluto e per certi versi quasi religioso.
Si esce un po' turbati dalla visione di “Corpus Homini”, anche un po' confusi. E quando l'arte riesce a sollecitare spunti di riflessione per il pubblico, quando di questo riesce a farne uno spettatore critico anziché solo un testimone passivo dell'esperienza, allora vale davvero la pena.
Laura Sciortino 09/09/2016
Foto: Lorenzo Castore