Per la prima volta in Italia, la città di Roma ospita “Let's Play”. Con un festival interamente dedicato al mondo del videogame, dal 15 al 19 marzo la ex caserma Guido Reni ha aperto le porte ad una rassegna ricca di novità e anteprime con il supporto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e la promozione di QAcademy e Let’s Play in collaborazione con l’Associazione Editori e Sviluppatori Videogiochi Italiani - AESVI.
Con un settore in continua espansione che coinvolge un numero sempre maggiore di fan, soprattutto giovani, sono stati organizzati dei panel a scopo informativo e “riflessivo”. Un’occasione per offrire una migliore comprensione del potenziale comunicativo dei videogame e dell’importante presenza che ricopre sul mercato internazionale. Incontri mirati a considerare l’importanza del mercato dei videogames sempre in continua crescita e a come sfruttare “l’onda del videoludico” all’interno del settore educativo, sportivo e culturale. Alla presenza di personaggi istituzionali e studiosi sono state affrontate, le possibilità di utilizzare il potere realistico del videogioco per abbattere le barriere razziali, la comunicazione dell’arte tra musei e siti archeologici, la mutazione narrativa dei videogames e le possibilità future di un ambito lavorativo così di nicchia.
Let’s Play ha presentato a tutti gli appassionati presenti e ai più curiosi circa trecento console con la possibilità di testare e toccare con mano le ultime novità. Dalla ultima novità di casa Nintendo - la “Nintendo Switch” in grado di accorpare la potenza di una console casalinga e la praticità di una portatile è sul mercato dallo scorso 3 marzo - passando la Xbox One, fino ad arrivare all’intramontabile Play Station - arrivata alla sua quarta versione e sempre più potente fornisce alte prestazioni di gioco anche attraverso l’integrazione del visore di realtà virtuale (Play Station VR) uscito lo scorso 13 ottobre 2016.
Spalmata su una superficie di circa cinquantamila metri quadrati di struttura, Let’s Play ha presentato 17 padiglioni divisi tra, “Let’s go viral” - area destinata agli youtubers - “Let’s Indie” - per gli sviluppatori indipendenti, “Let’s Challenge” - area riservata ai tornei e “Let’s look back” dedicato alla mostra dei più classici videogames. Quest’ultimo racchiude la parte più suggestiva e nostalgica di un mondo che ha accompagnato l’infanzia di molti valicando le frontiere della fantasia e di un’epoca. Un epoca in cui al posto degli eroi fiabeschi c’era l’idraulico baffuto che salvava la principessa, il giallo Pac Man che mangiava puntini, il logico incastro dei tetramini, i tornei picchiaduro di “street fighter”.
Tra i moltissimi incontri che hanno caratterizzato quest’edizione romana del “Let’s Play”, mercoledì 15 marzo, per la sezione “Cinema Talk”, ce ne è stato uno con Sydney Sibilia, regista della fortunata trilogia di “Smetto quando voglio” (il secondo episodio, “Masterclass”, è ancora nelle sale). A presentare “Gioco quando voglio: dal cinema al videogame e ritorno” - questo il nome dell’incontro - c’erano Mario Sesti e Gabriele Niola. Con il regista salernitano (che ama definirsi “uno spettatore a cui fanno fare dei film”) si è parlato di come e quanto i videogame possano entrare nell’immaginario collettivo (o personale del regista) tanto da essere presi come modello per il cinema, ripercorrendo a ritroso un cammino che storicamente è stato monodirezionale: sono sempre stati i videogiochi a “rubare” dal cinema, non viceversa. Ed effettivamente Sibilia ha confermato quest’ipotesi, portando un esempio personale e concreto: l’importante scena all’interno del porto nel suo ultimo film, non sarebbe esistita se, in fase di scrittura, Matteo Rovere (produttore del film) non avesse regalato al regista “GTA V”, il celeberrimo gioco che, nel suo quinto capitolo, ha presentato un grado di realisticità che ne ha fatto un capolavoro assoluto.
Un particolare ancor più interessante è stato sapere che non solo il film ha preso dal videogioco, ma che in quella specifica scena, la realtà “reale” si è piegata a quella virtuale: gli enormi container all’interno del porto di Civitavecchia, avevano sì la stessa forma di quelli che si vedono nel videogame, ma ne differivano per alcune caratteristiche, come la diversa apertura e l’assenza di scale per arrampicarcisi. Sibilia ha voluto che gli elementi mancanti rispetto al gioco venissero creati, perché considerati una condizione necessaria per la scena che aveva in mente, e questo la dice lunga su quanto l’immaginario creato dalla realtà virtuale possa trasformarsi in un immaginario collettivo immediatamente più riconoscibile agli occhi di un certo tipo di pubblico. Sibilia ha poi ripercorso la sua vita da giocatore di videogame che, per una generazione come la sua (il regista è classe ’81) hanno rappresentato un motivo di aggregazione, la formazione di una piccola-grande tribù, un’autentica società (vera, per quanto virtuale) con un proprio linguaggio e dei propri personaggi di riferimento.
Da “Monkey Island” nel 1990 a “Tekken 2” nel 1996 a “Metal Gear Solid” nel 1999 passando soprattutto per i giochi di calcio, autentica passione di Sibilia, che ha aggiunto, però, che il modello di riferimento e la passione autentica è sempre stato il cinema. Come detto a inizio masterclass da Mario Sesti, l’incontro è stato pionieristico, ma proprio per questo particolarmente interessante: al di là della grafica che evidentemente è destinata a perfezionarsi sempre di più con l’avanzare della tecnologia, quello che colpisce è l’uso massiccio dello storytelling all’interno dei videogame, cosa che sta assottigliando sempre di più la linea di demarcazione tra videogioco e film e che nei prossimi anni renderà sempre più sostanzioso lo scambio bilaterale tra i due media.
Paola Smurra, Alessio Altieri 21/03/2017